Gesù dice: “vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15,15).
L’amicizia vera è quando l’amico ti racconta la sua vita; non solo, ma ti mette al corrente e te ne fa partecipe.
E aggiunge: “voi siete miei amici se fate ciò che io vi comando” (Gv 15,14).
L’amicizia chiede una reciprocità. Se uno fa partecipe l’altro della sua vita, anche l’altro è mosso a dare una dimostrazione concreta che crede a quell’amico. Ora la vita che Gesù fa conoscere, è espressa nel comandamento che egli dice “è mio”, cioè dà fondamento e forma alla sua vita con il Padre e lo Spirito santo.
Ecco il comandamento: “che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi” (Gv 15, 12).
In concreto: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici” (Gv 15,13).
Cosa s’intende qui per dare la vita?
Noi traduciamo subito, nella mente, in dono concreto, fisico come ha fatto Gesù in croce, ma è evidente che, se fosse solo così, risulterebbe non applicabile o al massimo riservato solo a pochi.
Mentre il dare la vita è già prima qualcosa che è dentro la vita ordinaria, ad esempio considerare l’altro come sé, parte di sé e quindi pronti a fargli ciò che si vorrebbe fosse fatto a sé; e di più, amarlo come si ama noi stessi, senza diminuzioni; e più ancora, considerare l’altro più di sé in modo tale che egli si senta per davvero importante.
Gesù ci dice che questo va fatto reciproca-mente perché è in questa reciprocità che sono depositati tre doni:
“Vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga” (Gv 15,16).
Si tratta di un amore contagioso e indelebile. Ma che non sempre è verificabile dal momento che a provocarne il frutto è proprio Gesù presente con il suo Spirito che opera secondo il progetto del Padre.
“Tutto quello che chiederete nel mio nome, ve lo conceda” (Gv 15,16).
Si tratta di richieste – anche le più semplici – fatte “in nome suo”, “per mezzo di Lui”, “relative al suo regno”, a quella vita cioè che Egli apre e alla quale si vuole partecipare non sono personalmente ma insieme a tanti, tantissimi, i più possibile. Il Padre non può dire di no a tali richieste riferite al “progetto Gesù” che egli condivide pienamente.
“Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Gv 15,11).
Questa è reale dentro, verificabile e sperimentabile. Quante volte agendo bene, amando e amandoci, proviamo dentro pace e gioia?
Come è successo ad un avvocato polacco che lavora presso una istituzione governativa.
“Cerco di portare anche fra i più vari garbugli lo spirito del Vangelo. Un tardo pomeriggio qualcuno bussa alla mia porta. Immagino che sia l’amministratore del condominio, invece è un barbone. Potrei congedarlo subito dandogli qualche soldo; invece lo faccio accomodare, gli preparo la tavola. Parliamo della sua situazione e, sfruttando le mie competenze, penso a come farlo uscire dallo stato in cui si è ridotto per motivi vari. Rimasto poi solo, provo una gioia nuova: la mia casa, che uso quasi soltanto come albergo, si è aperta all’umanità.
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