Alcuni apostoli sono ritornati in Galilea, al lago di Tiberiade: è da lì che è partita l’avventura con Gesù. Il loro viaggio ha tutto il sapore di un ritorno: nell’incertezza dei giorni che stanno vivendo c’è ancora qualcosa che tiene, l’incontro con Gesù avvenuto proprio in quella regione, e il mestiere di sempre.
Ma le cose non vanno bene. La pesca è infruttuosa. Non portano a casa nulla. Una notte di fatica buttata via.
Sul far dell’alba, sulla riva, uno sconosciuto chiede loro da mangiare e li invita a tornare in acqua e a gettare di nuovo le reti. Questa volta le reti sono piene di pesci.
Ed è allora che Giovanni riconosce Gesù. Lo dice a Pietro e Pietro si butta in acqua per raggiungere il Maestro.
A riva una sorpresa. Gesù ha preparato delle braci, con del pesce e del pane. Il gesto è lo stesso dell’ultima Cena: «prese il pane e lo diede loro». La comunione con lui, comunione di parole e di tavola, di dialoghi e di mensa continua, dunque.
Gesù, però, ha in serbo per Pietro una missione particolare. Proprio lui, quello che ha rinnegato Gesù, ora deve guidare i suoi fratelli, deve pascere le pecore che il Signore gli affida.
Una storia straordinaria, quella di oggi, in cui possiamo agevolmente riconoscerci tutti.
Nell’incertezza del presente anche noi facciamo ritorno ai luoghi degli inizi, quasi nell’illusione di tornare indietro, al tempo di prima. Il passato, nei momenti della crisi, ha un fascino tutto particolare, appare con i colori della nostalgia, trasfigurato dalla memoria.
Ma fare come se nulla fosse accaduto è un’illusione un po’ patetica.
La vita di fede ci porta ad andare avanti, a non rinchiuderci nel passato, come in una gabbia dorata. Così il rimedio non funziona: le reti sono vuote. L’attività di prima non ha più senso.
È proprio nel ben mezzo dell’incertezza, dell’indecisione, della fatica che il Signore ci viene incontro. Dapprima non riusciamo neppure a riconoscerlo. È il segno che ci apre gli occhi. Qualcosa che accade, e che non riteniamo casuale. Un incontro, una comunione nuova.
Ed è soprattutto la stima, la fiducia che ancora una volta il Signore ci manifesta: così grandi che non possiamo fare a meno di staccarci da ciò che ci sta alle spalle per volgerci verso l’avvenire.
Tutti noi siamo un po’ Pietro: col suo entusiasmo, con la sua immediatezza, con le sue fragilità e infedeltà, con la sua impulsività.
E ad ognuno di noi, proprio come a Pietro, Gesù riserva una missione. Ci chiede innanzitutto di amare, di fidarci di lui, di metterci nelle sue mani, di correre i rischi che ci domanda. Tutto il resto non ci deve spaventare: quello che conta è il legame con lui, tenuto vivo attraverso gli incontri che Lui ci dona.
QUANDO È CHE ANCHE NOI POTREMMO RICONOSCERE LA PRESENZA E L’AGIRE DI GESÙ NELLA NOSTRA VITA?
Nel momento in cui abdichiamo a noi stessi convinti dai fatti che le nostre capacità fanno cilecca. Volevamo che andasse così e così e invece no e tutto sembra fallire.
È allora che possiamo sperimentare che, consegnando a Gesù, ciò che siamo con i limiti e capacità, gli eventi si capovolgono, e da un fallimento nasce un successo inaspettato, da una morte viene una vita.
Ma è necessario far conto su di Lui, abbandonandosi e dicendo: questo accade perché ci sei tu, il Signore Gesù Risorto!
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