Il peggiore insulto che si potesse rivolgere ad un giudeo era “cane” o “pagano”; il secondo era “samaritano” che equivaleva a “bastardo, rinnegato, eretico” (Gv 8,48).
Il Vangelo inizia presentandoci non un samaritano, ma un giudeo, non un peccatore, ma un giusto. La prima parte rivela il “sapere” di quell’uomo: “hai risposto bene!”, ma Gesù aggiunge: “fa questo e vivrai”. “Fa!”. Non basta “sapere”. È la vita che comprova se abbiamo assimilato o meno la parola del Signore.
“E chi è il mio prossimo?”. Era ritenuto prossimo un figlio del popolo o lo straniero che dimorava da molto tempo nella terra d’Israele, non sicuramente il popolo distante e tanto meno il nemico. Gesù non risponde teoricamente ma sul “come” si deve manifestare l’amore.
L’uomo in necessità è incontrato per una coincidenza fortuita ma l’atteggiamento usato è dei più accurati come se fosse un più stretto parente o amico. Il soccorritore non è un bravo laico giudeo (il che poteva essere tollerabile!) ma proprio un “samaritano”, uno di quelli di cui si dice “gli dà fastidio il fumo delle candele”.
La logica che innerva il brano evangelico si esprime nel chiedersi se per caso siamo noi in grado di accorgerci del bisogno che l’altro ha; se abbiamo imparato a non dire solo parole che spiegano il disagio dell’altro mentre noi viviamo una vita a lato piuttosto ripetitiva e tranquilla.
Certamente ciò che aiuterebbe di più è la mentalità che incentiva la solidarietà e la condivisione. E questo perché essere per l’altro, star vicino nel momento del bisogno, non dovrebbe risultare non come azione straordinaria ma ordinaria, a misura d’uomo.
Un tale comportamento potrebbe accadere prima fra i cristiani tra loro e poi verso tutti, così che si crei una vera civiltà.
Il metodo:
Guardarsi intorno e farsi vicino alle situazioni che costatiamo come difficili e critiche;
Fare il possibile personalmente, altrimenti va informata la comunità;
Ricordare che si vive per amare e solo l’amore dura mentre il resto passa.
Avere un vero rapporto con Gesù nell’altro come lo si ha con Gesù Eucaristia.
Considerazione finale:
Quell’uomo non è spinto ad agire da motivi religiosi, dal desiderio di piacere a Dio, dal calcolo dei meriti che può acquisire in paradiso aiutando un povero, ma unicamente dalla compassione, dal fatto che si sente stringere il cuore. E io che insegnamento ne traggo?
Quest’uomo della strada senza rendersene conto è la proiezione di ciò che prova Gesù.
Come posso dire di amarlo se non amo il fratello che le circostante mi mettono accanto?
Dove mi conduce la preghiera di ogni giorno?
La Messa a cui partecipo e soprattutto l’Eucaristia che ricevo? Sono in grado di muovere i miei passi, cadenzati nel mio tempo, che si dirigono verso i fratelli e le sorelle? È bene aprire i nostri occhi perché vedano le nostre molteplici omissioni, ciò che possiamo fare e non facciamo. Il tuo vangelo di oggi ci spinge a rivedere la nostra vita concreta: il rapporto con i malati, gli anziani, i parenti e i vicini!
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