10.07.2022 – 15^ del Tempo Ordinario: ANDARE A DIO ATTRAVERSO “IL FRATELLO E LA SORELLA”- Lc 10,25-37
, Con 0 Commenti, Categoria: Liturgia, Omelie,Il peggiore insulto per un giudeo era chiamarlo “cane” o “pagano”; o anche “samaritano” che equivaleva a “bastardo, rinnegato, eretico” (Gv 8,48).
Il Vangelo inizia presentandoci un dottore della Legge e quindi non un samaritano, ma un giudeo, non un peccatore, ma un giusto. La prima parte rivela il “sapere” di quell’uomo, e Gesù gli dice: “hai risposto bene!”, ma aggiunge: “fa questo e vivrai”. “Fa!”. Non basta “sapere”. È la vita che dimostra se si è assimilata o meno la Parola del Signore.
Poi domanda: “E chi è il mio prossimo?”.
Era ritenuto prossimo un figlio del popolo o lo straniero che dimorava da molto tempo nella terra d’Israele, non sicuramente il popolo distante e tanto meno il nemico. Gesù non risponde teoricamente ma sul “come” si deve manifestare l’amore.
L’uomo in necessità è incontrato per una coincidenza fortuita ma l’atteggiamento usato è dei più accurati come se fosse un più stretto parente o amico. Il soccorritore non è un bravo laico giudeo (il che poteva essere tollerabile!) ma proprio un “samaritano”, uno di quelli di cui si dice “gli dà fastidio il fumo delle candele”.
Egli è in viaggio quindi, con tutta probabilità, ha i soliti appuntamenti di lavoro che urgono. Non sta dunque passeggiando. Passa accanto al malcapitato mentre agli altri basta vedere da lontano. Egli si sente provocato dentro, nel profondo: vado o resto? Egli sceglie di restare perché quell’uomo – chiunque sia – ha bisogno. Il sacerdote e il levita hanno tirato dritto perché si sono detti: cosa ci può capitare se ci fermiamo? Lui, invece, il samaritano, ha ragionato in modo diverso: cosa può capitare a quell’uomo, se io non lo soccorro?
Non è spinto ad agire da motivi religiosi, dal desiderio di piacere a Dio, dal calcolo dei meriti che può acquisire in paradiso aiutando un povero, ma dal fatto che si sente stringere il cuore. Vede lui e le sue necessità che lo bloccano e dettano i gesti da compiere.
- Farsi vicino: che è più di un passare accanto. L’altro deve sentire che ci sei e udire la tua voce confortante.
- Fasciare le ferite: dopo averne lenito il dolore con olio e vino, il metodo del tempo. L’altro non deve sentire la voce soltanto ma si deve sentire meglio.
- Condurre o far condurre al centro di cura: non lasciarlo lì in attesa che altri passino e magari agiscano assumendosi loro la responsabilità.
- Prendersi cura: sta ancora più vicino come se non bastasse quel che ha già fatto. È la vera logica della compassione che conduce la persona a donarsi fino in fondo perché sa che l’altro è contento; si lascia guidare dal bisogno dell’altro; sta vicino tutta la notte. Al mattino vedendo che sta meglio, lo affida e paga la retta di degenza.
L’amore vero non ha limiti. Chi ama sa che non ci sono condizioni all’amore.
L’amore vero è questo e Gesù può dire all’interlocutore: va’ e anche tu fa così. Va ritrovato Dio nel volto dell’altro e dell’altra, e più è profonda la relazione con Dio e più cresce per l’altro la vera compassione, quella sua, che fa sentire in sé ciò che l’altro prova. È questo vivere ciò che l’altro vive, a dare vita anche a noi
Considerazione finale.
Qui si può intuire che in paradiso avremo tante sorprese. E allora: perché non cercare di aiutare l’altro a rialzarsi e possa sentire una vicinanza attiva e concreta?