Sono la maggiore di sei fratelli, e studio all’università di Seul. Quando ero ancora alle superiori, nella mia famiglia c’è stato un grosso tracollo economico, perché la ditta di mio padre ha fatto fallimento.
Tutto è cambiato nella nostra vita. La mamma si è rimessa a lavorare e stava fuori casa tutto il giorno. Io, che fino ad allora non avevo pensato altro che a studiare, mi sono trovata di colpo a dovermi occupare, dopo la scuola, delle faccende domestiche e dei miei fratelli più piccoli.
Ciò che più mi costava era il rapporto con nostro padre. Vedendolo soffrire, da un lato mi faceva pena. Non potevo fare a meno però di pensare che, in fondo, era lui il responsabile della nostra situazione. Lo giudicavo un fallito, un incapace. Evitavo di stare con lui, di mangiare insieme; quando lui c’era, stavo fuori casa più a lungo possibile.
Un giorno, trovandomi sola con lui, ho sentito forte che questo mio modo di comportarmi non andava bene, non era coerente con il mio cristianesimo. Ho capito che era proprio mio padre il primo prossimo da amare. In principio non sapevo come muovermi, ma ho provato ugualmente ad avviare una conversazione con lui. Abbiamo cenato insieme, e quel gesto di attenzione ha segnato l’inizio di un periodo più sereno in famiglia. È stato un piccolo atto, ma mi ha riempito di gioia. Era come se dal cuore mi avessero tolto un grande peso.
Eun Ju Bae, da “Città Nuova”
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