Oggi noi possiamo comunicare dappertutto.
Pensate questo… Chiudete gli occhi, immaginate questo: a tavola, mamma, papà, io, mio fratello, mia sorella, ognuno di noi con il suo proprio telefonino, parlando… Tutti parlano ma parlano fuori: tra loro non si parla. Tutti comunicano, sì, tramite il telefonino, ma non dialogano.
C’è la mancanza di ascolto. Ieri ho avuto una riunione, sono venuti in Vaticano un bel gruppo – erano 400 più o meno – che appartenevano all’associazione “Telefono Amico”. È un’associazione che è disposta ad ascoltare: se tu sei triste, se tu sei in depressione, o hai un problema o un dubbio, tu puoi chiamare lì e sempre c’è una persona disposta ad ascoltarti.
L’ascolto è il primo passo del dialogo. Una delle malattie più brutte del tempo di oggi è la poca capacità di ascolto. Come se noi avessimo le orecchie bloccate. Sì, “io sto comunicando con il telefonino”, ma non ascolti quelli che sono vicino a te, non dialoghi, sei in comunicazione con altro che forse non è comunicazione vera, non è dialogo: io dico una cosa, tu dici l’altra, ma tutto virtuale. Dobbiamo arrivare al dialogo concreto. Questo che si fa con il telefonino è virtuale, è “liquido”, non è concreto.
E come si incomincia a dialogare? Con l’orecchio. Sbloccare le orecchie. Orecchie aperte per sentire cosa succede. Per esempio: io vado a visitare un ammalato e incomincio a parlare: “Non ti preoccupare, guarirai presto, blablablabla…, ciao, che Dio ti benedica”. Ma quante volte si fa così? Il povero malato rimane così… Ma lui aveva bisogno di essere ascoltato! Quando tu vai a visitare un malato, stai zitto. Dagli un bacio, accarezzalo, una domanda: “Come stai?”, e lascialo parlare. Ha bisogno di sfogarsi, ha bisogno di lamentarsi, ha bisogno anche di non dire nulla ma di sentirsi guardato e ascoltato. La lingua sta al secondo posto. Ma che l’altro parli sempre prima, e tu, ascoltare bene. Questo si chiama “l’apostolato dell’orecchio”.
(Parrocchia romana di Santa Maddalena di Canossa (Borgata Ottavia), 12.03.2017 – ai catechisti)
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