Dio aveva fatto bene ogni cosa, il mondo era uscito buono dalle sue mani. Per sette volte — il numero della perfezione — l’autore sacro ripete, come un ritornello: E Dio vide che era buona l’opera da lui realizzata. E l’affermazione della totale bontà del creato. Questo non significa che non ci fossero sventure, malattie e morte… ma che il mondo era perfettamente adatto al disegno che Dio intendeva realizzare. Compito dell’uomo era portare a compimento l’opera del Creatore, attenendosi al suo disegno e gestendo in modo sapiente ogni creatura.

Il male è quando comincia a insinuarsi nella mente dell’uomo il dubbio che Dio gli voglia davvero bene. Comincia ad agire di testa propria, a rendersi indipendente, a comportarsi in modo autonomo.

Crede che per essere se stesso bisogna sganciarsi da Dio che impone precetti arbitrari; è un despota che va ignorato. Non ci si può fidare di lui perché è geloso, infatti ordina: Non dovete mangiare di alcun albero del giardino (Gen 3,1).

È così che l’uomo infrange i limiti che gli impone la sua condizione di creatura, non prende più in considerazione il disegno del Creatore e lo sostituisce con il proprio progetto, seguendo i propri capricci e astuzie, illudendosi che se agisce senza alcun legame con Dio si sentirà finalmente libero, realizzato e felice.

Questo è il vero “senso e realtà” del peccato.