19–26.08.2018 – 20^ – 21^ Tempo Ordinario: Sintomi di felicità: Le sbucciature dell’anima non vanno trascurate
, Con 0 Commenti, Categoria: Editoriali, Liturgia,Qualche giorno fa mi sono sbucciato un dito. Difficilmente si fa caso a quanti movimenti automatici si possano fare con una mano in una giornata e raramente si pensa a quanto possa essere noioso il contatto accidentale con pochi millimetri della nostra pelle, quando non è scoperta. In poche ore mi sono accorto di quanto fosse importante quella minuscola parte del corpo negli usuali gesti di tutti i giorni: la borsa della spesa, la guida, la scrittura.
Questo succede anche nella nostra anima: a volte ferite minuscole – e apparentemente insignificanti – bruciano e ci infastidiscono. Il malessere può durare ore, giorni o mesi.
È singolare come una parola detta con un certo tono, un luogo o una scena di un film ci possano infastidire in un attimo.
Le ferite non curate a dovere, come quella del dito, finiscono per dolere più del dovuto. Di solito è sufficiente pulire con cura la ferita con una garza imbevuta di disinfettante. È importante anche proteggere la lesione con un cerotto.
La stessa cosa dovremmo farla anche con le ferite dell’anima: capita di sentirsi avvolti dal dolore del momento, qualunque esso sia. Umanamente, in quell’attimo, tiriamo fuori un’ira insolita. Certo, le ferite che nascono dentro di noi sono ben più profonde di una semplice abrasione della pelle. Il rifiuto, l’abbandono, l’umiliazione, il tradimento, l’indifferenza, ad esempio, sono ferite profonde. Queste bloccano la capacità di essere noi stessi e condizionano profondamente la nostra esistenza.
Eppure c’è sempre una cosa che ci fa ripartire, prima o poi: la disponibilità che diamo a noi stessi di cambiare, di modificarci rispetto a quello che ci accade. E quella sana incoscienza di attaccarci alla nostra vita, prendendola per quella che è: il dono più fantastico che avremmo mai potuto ricevere.
La cura delle sbucciature dell’anima, delle sue ferite apparentemente invisibili, delle lacerazioni che rimangono dentro è un percorso quotidiano. È proprio come dice il cantante Brunori Sas in una sua canzone: il dolore serve proprio come serve la felicità.
(Marco Voleri Avvenire 07.12.2017)
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