Sono faccia a faccia Pilato che è chiamato a giudicare e Gesù che è “giudice del mondo”. È un tu per tu formidabile. Non si tratta di una discussione concitata ma di un dialogo personale che piace a Gesù.
Egli risponde anche al sommo sacerdote nel momento in cui è in gioco la verità su di sé: “Allora il sommo sacerdote gli disse: “Ti scongiuro, per il Dio vivente, di dirci se sei tu il Cristo, il Figlio di Dio”. “Tu l’hai detto” (Mt 26,63.64); esattamente come ora con Pilato: “«Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re” (Gv 18,37).
Ma con Pilato c’è qualcosa che stupisce; sembra quasi che Gesù si preoccupi di quest’uomo incerto e timido costretto dalle circostanze ad esercitare quel potere di cui non ha né capacità né polso. Forse a Gesù fa proprio tenerezza!
Il dialogo verte sulla regalità di un uomo che incuriosisce Pilato: come può essere re, uno che si presenta disarmato, senza argomenti che ne mostrino almeno qualche ambizione? Egli non uccide nessuno, va lui a morire; non comanda sugli altri, obbedisce; non si allea con i grandi e i potenti, si mette dalla parte degli ultimi, di coloro che non contano nulla. Per gli uomini possedere, conquistare, sterminare sono segni di forza, per Gesù sono indici di debolezza e di sconfitta. Per lui grande è colui che serve.
È anche vero che Pilato non ha altro paragone che quello di altri re. E proprio a lui Gesù svela la sua vera regalità che non somiglia ad alcuna di quelle note a tutti; e afferma che il suo Regno non è di questo mondo. È un dialogo dalle vette elevate a cui Pilato non è certo abituato e di fronte al quale non regge. Eppure Gesù parla con lui di questo suo Regno. È il momento non di insegnare delle verità, come facevano i saggi, ma di dare testimonianza alla verità alla quale non si può venir meno e anche uno come Pilato, pur non comprendendo, la deve comunque conoscere.
Gesù conclude: “Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce” (Gv 18,37).
E verità sono i disegni di amore del Signore; conoscere la verità significa capire questi disegni e lasciarsi coinvolgere nella loro realizzazione. Gesù è venuto a rendere testimonianza alla verità, perché incarna il progetto di Dio, lo porta a compimento, per questo è la verità (Gv 14,6). Con la sua presenza nel mondo, con tutta la sua vita spesa per amore, dimostra la fedeltà del Signore al suo patto con l’uomo.
È un Regno dunque che è nel mondo ma non gli appartiene, anzi fa di esso un ambiente diverso continuamente rinnovato da una Presenza che non si vede ma che è reale.
È un Regno che non si conquista ma che si riceve e Gesù se lo porta dietro e lo impianta là dove sta. Anche oggi.
C’è un modo per farne esperienza e Gesù ce lo fa vedere con la sua stessa vita: quando sembra che, nella croce, il buio trionfi sulla terra, un’alba nuova, nella sua risurrezione, sorge all’orizzonte. Si vede ancora il buio che la nasconde ma c’è l’Amore che la illumina.
Se credo nell’Amore e vivo amando, lo sperimento in me e vedo spuntare, intorno a me, qualcosa che non appartiene alla terra. Si riversa la vita del cielo e anche in essa si compie la Volontà del Padre.
Non mi resta che amare per rendermi anch’io conto che se il suo Regno non è di questo mondo è comunque presente in questo mondo nel gesto pieno di calore che nasce dal gelo del dolore, nel momento di luce e nel germoglio di vita che spuntano dal buio dell’anima come da seme che macera nel terreno, nel timbro dell’Amore che va e ritorna perché quando inizia è solo da una parte ma poi si evolve e si moltiplica, nella forza e convinzione interiori che spingono a dire a tutti il perché; del resto come è possibile conoscere e vivere con Gesù, e stare zitti?