22.04.2018 – 4^ di Pasqua: DO LA MIA VITA PER LE PECORE!

Pubblicato da Stefano, Con 0 Commenti, Categoria: Liturgia, Omelie,

“Questo Gesù è la pietra, che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo” (At 4,11)

Il regno di Dio poggia e si compone di “pietre scartate” la prima delle quali è proprio Gesù. Pensiamo alla tecnica dello scarto di cui parla spesso Papa Francesco (anziani, bambini). Invece di buttar via, vanno cercate e con esse lavorare. Gesù stesso ebbe a dire nel momento cruciale della Passione: il mio Regno non è di questo mondo (Gv 18,36)

“Noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato.” (1Gv 3,2)

È realtà nascosta, ma vera. Siamo “figli di Dio”. Andrebbe gridato al mondo intero che in questa “verità” sta la sua salvezza. Si è detto più volte: se io vivo sapendo di avere un Papà che è Dio, come sarei più tranquillo e più sicuro anche di me stesso! Del resto come fa un Papà del genere a dimenticare o perdere un suo figlio?

“Il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso” (Gv 10,17.18).  

È bella questa libertà di Gesù. E dice a tutti “chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà” (Lc 9,24). Per causa mia, a motivo di me, come ho fatto io.

La vita deve dire chi siamo e cosa desideriamo e poi vogliamo. Se siamo per gli altri o chiusi in noi stessi. Se desideriamo cose grandi e mettiamo in conto la fatica o ci fermiamo ai piccoli passaggi piuttosto indolori. Se vogliamo camminare anche se a più velocità o preferiamo il divano comodo.

È qui l’origine dell’infelicità dell’uomo, nel trattenersi per sé la vita, nel gestirla come è meglio per lui, come un bene privato, e non come è meglio per gli altri.

Questo essere per gli altri contiene il senso della vita, dice una vita che si vive. È un perdersi per essere amore. È legge trinitaria dove ognuno dei Tre si perde per l’altro ed è Dio! Questo essere amore dà a tutto la giusta dimensione ed è già un vivere la vita eterna.

Ricordo una bambina Chiaretta Bigoni (1964 – 1973), che era colpita da una grave malattia. Ed essa, con un’intelligenza sempre superiore alla sua età, capì presto che era inguaribile; e, aiutata soprattutto dalla mamma, imparò presto a dire di sì a Gesù, a Gesù in croce. Insieme si misero a quella particolare scuola del dolore e dell’amore: “Con questa scuola – diceva – farò più presto ad imparare tante cose”.

Nel Vangelo faceva le scoperte più belle dell’Amore di Dio per ogni uomo. E il giorno della sua prima Comunione fu specialissimo per lei. Racconta un’amica: “Non occorreva chiederle: Sei contenta? perché bastava vederla negli occhi”.  La Parola di Vangelo per la sua vita era: “Perdonate fino a settanta volte sette”. Si impegnò a viverla fino in fondo, pensando che “non solo devo perdonare, ma pregare per chi ci ha offeso ed offrire a Gesù il dolore sentito”.

Tra ricoveri e periodi di ripresa nei quali poté frequentare la scuola, la situazione medica si aggravò sempre di più. “Tiziana – sussurrò Chiaretta ad una amica anche lei gravemente malata – dobbiamo chiedere a Gesù la grazia di andare sempre fino in fondo”. E con Aurelio, il fratellino che condivideva con lei la stessa malattia, si accordarono di considerare i fori degli aghi nelle braccia come “fiori da offrire a Gesù”.

In Chiaretta il dolore è stato sempre un’opportunità di offrire, tanto da farle ripetere a Gesù a pochi giorni dalla sua partenza: “E se il Tuo disegno fosse quello di chiamarmi a Te, eccoti la mia vita”.

Fiori che fanno sentire il loro profumo!