23.04.2017 – 2^ Domenica di Pasqua: PERENNE FEDELTÀ D’AMORE! (GV 20,19-31)
, Con 0 Commenti, Categoria: Liturgia, Omelie,Tommaso non cerca soltanto di accertarsi che quello che appare è proprio Cristo e non pensa alle ferite semplicemente come a segni di riconoscimento.
Ciò che è sbalorditivo per lui è che nel Cristo risorto vi siano ancora le impronte delle ferite; che il Risorto non abbia voluto liberarsi di quelle cicatrici. Anzi: le ha volute tenere in/con sé per sempre.
Il Risorto vuol così mostrare ed esprimere che egli ama e dà vita esattamente attraverso quelle stesse piaghe che l’hanno tradito, trafitto e messo a morte. i chiodi dell’umiliazione estrema siano trasformati in chiodi di suprema e perenne fedeltà d’amore da parte del Cristo risorto proprio verso quelli che così piagato l’avevano ridotto.
La piaga di morte è la gloria del Risorto; la sua ferita il suo vanto; la croce il suo trono.
È questo che resta incredibile per Tommaso: le piaghe inferte dall’umanità al Cristo sono esattamente le stesse piaghe attraverso le quali Cristo ama l’umanità che l’ha rinnegato.
Il Risorto tramuta le piaghe da elemento di morte a elemento di vita, da elemento di tradimento a segno di un amore fedele che scavalca e supera il rifiuto dell’umanità e il suo fragile amore.
Cristo dà vita a coloro che
gli tolgono la vita; dà il perdono a chi lo tradisce e lo rinnega. Resta fedele a chi fedele non è.
«Non per scherzo t’ho amato!». Disse Gesù a Sant’Angela da Foligno. Questo può l’Amore più forte della morte.
Cosa faccio io delle mie ferite?
Sono il veicolo dell’amore e quindi il segno concreto fin dove è arrivato?
È certo che la sofferenza c’è e va vissuta per poter amare. Per cui evitare o anche togliere la possibilità di soffrire – che non significa aiutare, arginare – comporta un impedire di amare. In realtà chi non sa soffrire come potrà amare per davvero?
Utili sono ora le parole di Gesù a Tommaso: “beati quelli che non hanno visto e hanno creduto” (Gv 20,29).
Si tratta della fede in Lui Risorto che continua ad amare e che ora è vivo nella comunità dei credenti, descritta negli Atti degli apostoli (2,42-47):
- Essa ascolta gli apostoli: Didachè ton apostolon. Era la parola autorevole che nutre e che giudica.
- Vive l’unione fraterna: koinonia. Essa mette in comune cose concrete. Porta in unum, riporta all’unità. “Metti tutte le cose in comune con il fratello e non dire che sono tue, perché se condividete i beni incorruttibili, a maggior ragione dovete farlo per i beni corruttibili” (Didachè). È la realtà dell’unico corpo!
- Spezza il pane: te craxei. È il gesto eucaristico che permette di riconoscere il Maestro e di rimanere con Lui. Diviene conseguenza dell’unione fraterna che si dava per scontata! In Gesù e attraverso Gesù si consolidavano i loro rapporti.
- Prega ma che è immolazione di se stessi come sacrificio gradito a Dio. Lo si comprese quasi subito. All’inizio si continuò a tornare al tempio ma poi lo Spirito conformò la preghiera all’offerta di se stessi.
Attraverso la comunità con Gesù Risorto continua la rivoluzione d’Amore delle tante cicatrici risanate!
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