Nell’uomo Gesù la condizione di Dio ha subito uno svuotamento: colui che era in forma di Dio si è spogliato della sua uguaglianza con Dio (cf. Fil 2,6-7), e questo è avvenuto in modo che nella vita di Gesù non si vedesse altro che la sua umanità, un’umanità nella condizione di servo “fino alla morte, anzi alla morte di croce” (Fil 2,8)!
La sua condizione di Dio è stata per così dire “messa tra parentesi”, e Gesù è stato uomo, uomo come noi, soggetto alla nostra limitata condizione mortale. Sì, Gesù ha vissuto la sua esistenza terrena quale uomo povero e fragile, esattamente come gli uomini con cui entrava in relazione; il Figlio è entrato nella storia come uomo, pienamente uomo: un uomo capace di fare della sua vita un capolavoro d’amore.
Nella sua prassi di umanità Gesù ha saputo destare, creare fiducia e così generare alla vita e dare vita.
Nei suoi incontri egli suscitava la soggettività delle persone che incontrava e valorizzava la loro umanità, il loro volto e il loro nome, cioè le manifestazioni della loro unicità e irripetibilità.
Quante volte ha detto: “La tua fede-fiducia ti ha salvato!” (Mc 5,34 e par.; 10,52; Lc 7,50; 17,19; 18,42; cf. anche Mt 8,13; 15,28).
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