26.04.2015 – 4^ Domenica di Pasqua: Dare la vita per riprenderla di nuovo!
, Con 0 Commenti, Categoria: Liturgia, Omelie,Si legge che “il pastore dà la propria vita per le pecore” (Gv 10,11) e più sotto Gesù dice di se stesso: “e do la mia vita per le pecore (15), per poi concludere: “io la do da me stesso” (18).
L’ho vista come una verifica della mia vita di prete e ho provato una gioia profonda, perché, nonostante i limiti, questa è scelta fatta. E ho capito anche il motivo di questa gioia che diventa poi pace dell’anima: “il Padre mi ama perché io do la mia vita” (17), che Giovanni descrive così nella sua lettera: “vedete quale grande Amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!” (1 Gv 3,1).
Per poi scoprire con sorpresa immensa: “do la mia vita per riprenderla di nuovo” (17). E questa è cosa nuova ma reale perché Gesù è per davvero risorto e ha ripreso un corpo che di diverso ha solo il fatto che non può più morire. Il dono di sé è dunque sorgente di resurrezione!
È diverso il caso del mercenario che “vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde” (12). Per lui le pecore sono estranee alla sua vita e non pensa a loro, anzi…le lascia in mezzo ai guai!
E dunque questo Gesù è la pietra che, scartata dai costruttori, diviene pietra d’angolo (cfr At 4,11)!
Il dare la vita contiene allora la capacità di contare e chi ama acquista un valore di per sé che porta alla conoscenza vera e reciproca: “conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me” (14).
“Conoscere, nel linguaggio biblico, indica non un atto della mente, bensì un movimento del cuore che non solo ama, ma amando rende l’altro capace non solo di rispondervi, ma di diventare a sua volta soggetto di amore e di cure fino alla disponibilità a dare la vita e a rischiare di persona” (da messa quotidiana, EDB, aprile 15 pag 334).
È in questo modo che anche l’orizzonte si allarga: “e ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare” (16); e il metodo è riconoscibile: “ascolteranno la mia voce, e diventeranno un solo gregge, un solo pastore” (id 16). Si tratta solo di non sovrapporre la propria voce su quella di Gesù, pensando che sia troppo bassa. È ascoltando insieme e insieme vivendola, quella sua parola crea l’unità di tutti. È il miracolo della Parola che, si fa carne, e fa di tutti un corpo solo alimentato e cementato poi dall’Eucaristia, Pane vivo disceso dal cielo.
In conclusione:
L’annuncio di Gesù, la sua scoperta e l’incontro con Lui accadono là dove i gesti di amore – del pastore e poi del gregge – non sono convenzionali e anonimi, ma unici e “intrisi” del fattore rischio. Spesso siamo tutti vittime consapevoli o inconsapevoli di piccoli o grandi paure. La vita è un dono per servire e non proprietà privata. È vero che Dio ci ha dotato di libertà e, volendo, possiamo sprecarla, ma certamente risulta più logico aprire questo dono perché altri ne ricevano il beneficio. Più logico perché dà la vita ad altri, si moltiplica in altri. È bello pensare che io ho dato vita ad altri con la mia stessa vita. Non sono dunque inutile.
- Il servizio umile al malato oggi, domani…è come qualcosa di sé che passa a lui e resta per sempre…”Venite benedetti nel Regno eterno…perché ero malato e mi hai aiutato”.
- La serenità donata a chi è triste, si prolunga in un altro ed è molto più grande.
- La pace e il perdono trasfusi in chi ci incontra fanno un circolo più grande contro la violenza ed non si è più soli a credere che la pace è possibile.
- La fede, testimoniata davanti a tutti perché vita della propria vita, ci fa sentire padri e madri di tanti che credono alla testimonianza.
- La speranza, certezza di un mondo e di una umanità diversa, si prolunga in chi comincia a sperare insieme con noi.
- L’ amore, diffuso in tante persone, diviene esercito di anime per una nuova civiltà.
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