DIO AMA LA VITA
“Molti si chiedono, in questi giorni di pandemia che affligge l’umanità, dov’è Dio. Il seguente scritto di Chiara Lubich ci invita a credere che nulla di quanto viviamo, anche se molto doloroso, sfugge al suo amore e che dietro a ogni cosa vi è una finalità positiva, anche se per il momento non la vediamo.
Noi parliamo di Santo Viaggio, ci incoraggiamo a percorrere la vita come un Santo Viaggio. (…) Spesso lo immaginiamo così: una serie di giornate che ci proponiamo una più perfetta dell’altra, col nostro lavoro compiuto bene, con lo studio, col riposo, con le ore trascorse in famiglia, con gli incontri, i convegni, lo sport, con i tempi di ricreazione… svolti nell’ordine e nella pace. Lo pensiamo così, siamo umanamente e istintivamente portati ad attendercelo così, perché la vita è una continua tensione all’ordine, all’armonia, alla salute, alla pace. (…)
E facciamo in questa maniera perché il resto è senz’altro imprevedibile, ma anche perché c’è sempre nel cuore umano la speranza che le cose vadano così e solo così.
In realtà, il nostro Santo Viaggio poi si dimostra diverso, perché Dio lo vuole diverso. E pensa lui stesso a introdurre nel nostro programma altri elementi da lui voluti, o permessi, perché la nostra esistenza acquisti il vero senso e raggiunga il fine per cui è stata creata. Ecco i dolori fisici e spirituali, ecco le malattie, ecco mille e mille sofferenze che parlano più di morte che di vita.
Perché? Forse perché Dio vuole la morte? No, ché anzi, Dio ama la vita, ma una vita così piena, così feconda che noi – con tutta la nostra tensione al bene, al positivo, alla pace – non avremmo mai saputo immaginare. Ce lo chiarisce la Parola di Vita (…): “[…] se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo: se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12, 24).
Se non muore, il chicco rimane bello, sano, ma solo; se muore si moltiplica. Dio vuole che durante la vita noi sperimentiamo una certa morte – o, a volte, molti tipi di morte – ma perché questo è il Santo Viaggio per lui: portare frutto, fare opere degne di lui e non di noi semplici uomini. Questo è per lui il senso della nostra vita: una vita ricca, piena, sovrabbondante, una vita che sia un riflesso della sua.
E allora occorre prevedere queste morti e disporsi ad esse per accettarle nel miglior modo.
È saggia, quindi, indispensabile – e non è che genuino cristianesimo – quella scelta che ogni giorno noi rinnoviamo di Gesù abbandonato, quell’amore a lui che vogliamo preferenziale. Esso ci predispone (…) ad accettare le piccole o grandi morti, ma anche a vedere superato di gran lunga, potenziato e fecondato, quanto noi avevamo programmato.
Sono purificazioni passive (…): malattie, la morte di cari, la perdita di beni, della fama, difficoltà di ogni genere… Sono notti dei sensi e notti dello spirito dove corpo ed anima sono purificati in mille modi con tentazioni, aridità spirituali, dubbi, senso di abbandono da parte di Dio; con le virtù della fede, speranza e carità che vacillano; sono veri purgatori anticipati se non quasi inferni. Che fare? Abbandonare il Santo Viaggio pensando che con una vita più comune, secondo l’andazzo del mondo, molte forse, o alcune, di queste prove si possono evitare? No: non possiamo tornare indietro.
E poi qui ho elencato solo le purificazioni, ma occorre vedere quali sono le consolazioni, le “beatitudini” (cf. Mt 5, 3-11) che una vita vissuta come Santo Viaggio porta già su questa terra. La morte di Gesù infatti chiama la risurrezione; la morte del chicco di grano il “molto frutto”. E “risurrezione” e “molto frutto” significano, in certo modo, paradiso anticipato, pienezza di gioia, quella gioia che il mondo non conosce.
E allora, avanti! Guardiamo al di là di ogni dolore. Non fermiamoci solo a quella sospensione, a quell’angoscia, a quella malattia, a quella prova… Guardiamo alla mèsse che ne verrà, (…) prevedendo e pregustando il frutto abbondante che è alle porte».
(Chiara Lubich 25.02.1988; fonte Città Nuova)
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Pensiero del giorno
Dal Vangelo secondo Giovanni 7,40-53
TRA LA GENTE NACQUE UN DISSENSO SU GESÙ.
Certamente Gesù è Lui, Persona viva e seconda nella Trinità, che si fa carne. Ma l’incontro con Lui è talmente personale che talora si corre il rischio di vederlo ognuno a suo modo e dire: è il “mio” Gesù!
In realtà Gesù tende a svelarsi alla persona in maniera graduale, spesso velata e dai contorni che, da sbiaditi, diventano sempre più chiari. Comunque sia è sempre un incontro che Egli desidera avere con la persona.
È in Lui che poi si trova sicurezza e pace, in Lui cade ogni dubbio e incertezza, per Lui s’impara a vivere; ci si abbandona a Lui, il timore e la paura diventano in Lui possibilità di vita. Tutto accade per mezzo di Lui e si può dire: “questo lo faccio per Te, Gesù!”
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