L’accusa che viene fatta ai discepoli di Gesù è che “Prendono cibo con mani immonde” (v. 2) e quindi non adempiono il gesto rituale che deve essere compiuto, dopo che si è fatto il bagno, da chiunque voglia mantenere le distanze dai pagani che erano immondi ed erano chiamati “cani”; e tale epiteto compare addirittura sulla bocca di Gesù (Mc 7,27). Popolo di santi era Israele (Dt 7,6) e santo era soprattutto il tempio in cui il Signore aveva preso dimora.
Queste rigide disposizioni derivano dalla “tradizione degli antichi”, da quegli insegnamenti dei rabbini ai quali si attribuiva lo stesso valore della parola di Dio contenuta nelle sacre Scritture. La Bibbia prescrive che, prima di mangiare le carni dei sacrifici del tempio, il sacerdote si lavi le mani e i piedi (Es 30,17-21), ma alcuni gruppi di laici, particolarmente devoti, avevano adottato questa prescrizione anche nelle proprie case.
Le guide spirituali avevano benedetto un tale modo di fare, che così diveniva legge di Dio provocando un travisamento del volto del Signore e del rapporto con lui.
Con queste conseguenze.
Quella attribuire a Dio la distinzione fra uomini puri e impuri, fra giusti e peccatori. È chiaro che non è così. Davanti a Dio tutti gli uomini sono puri (At 10) e non esistono differenze di razza, sesso e condizione sociale (Gal 3,28). Egli “ama tutte le cose esistenti e nulla disprezza di quanto ha creato” (Sap 11,24).
E l’altra quella di assolutizzare le pratiche rituali. L’osservanza rigorosa di norme chiare e ben definite dà la sensazione di aver fatto il proprio dovere, fa sentire sicuri di fronte al Signore, induce addirittura a ritenere di essere in credito con lui.
Gesù afferma che a Dio non interessano la purezza esteriore, i formalismi, le solenni liturgie del tempio, le apparenze. E, cita Isaia, che dichiara: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini” (vv. 6-7). E poi concretizza: “Dal di dentro, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male” (Mc 7, 21).
Se è dal di dentro che provengono i propositi di male, perché non curarlo e far sì che escano propositi di bene?
E come curare la parte più intima di noi stessi? La cura richiede una terapia giusta che talora può essere terapia d’urto.
Fuori dall’immagine, si può comprendere la necessità di far prevalere il positivo sul negativo, abituarsi a fare il bene piuttosto che stare solo attenti a non sbagliare. La continua tensione al bene, l’esercizio continuo a vivere per l’altro, è la cura potente del cuore. Se infatti desidero e, in concreto, faccio del bene all’altro, come potrò fargli del male?
Oggi provo a rendere felice l’altro così da essere anch’io felice della sua felicità. E così l’Amore ha la prevalenza negli impulsi del cuore, e l’egoismo è costretto a cedere.