Il padre disse ai servi: “Presto, facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato” (Lc 15,23.24)
Perché far festa quando uno si è comportato male? Perché trattarlo così?
È il modo di essere di Dio quando da padrone – che ha servi e salariati – diventa Padre che ha dei figli.
Egli non po’ che essere così.
Ma è incompreso.
Il figlio maggiore dice: “Ecco, io ti servo da tanti anni, non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso” (Lc 15,29.30).
Dove nasce l’incomprensione
Nel modo di essere dell’uomo quando da figlio diventa servo del padre – “ti servo da tanti anni” -.
Il Padre non può che reagire così…e gli rispose: “Figlio, bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”” (Lc 15,32).
Due dettagli stanno dentro la parabola:
Il figlio maggiore dice al padre che è “tornato questo tuo figlio” (Lc 15,30). E con ciò non riconosce l’altro come fratello.
Siamo all’entrata nell’individualismo.
Replica il padre: “questo (è) tuo fratello” (Lc 15,32). È la riaffermazione della verità che sta nel DNA di Dio come Padre.
Siamo alla soglia della fraternità.
La lezione della parabola diventa chiara:
1. Dio è amore sempre: se non è possibile il colloquio, usa la misericordia.
Egli non può non amare.
2. L’altro è fratello sempre: quando si comporta bene e quando meno, se tratta bene e se meno, qualunque sia il suo modo di vivere.
Noi non possiamo non amarlo.
3. L’accoglienza è stabile sempre: quando c’è chi viene o ritorna, se è amico o estraneo, se chiede un favore o il perdono.
Noi non possiamo non accoglierlo.
Lascia una risposta