Il primo discorso da fare sulla Chiesa non è fatto di parole; il primo discorso siamo noi: è la vostra vita!
Veniamo da un millennio in cui lo Spirito Santo ha voluto mettere a fuoco tanti aspetti che sono importanti per la vita della Chiesa, come il battesimo, l’Eucaristia e gli altri sacramenti e anche il ruolo dei ministri ordinati.
Tutto questo è importante, perché nel battesimo, ad esempio, io vengo unito a Gesù, da quel momento in poi c’è come un patto tra me e Lui e mi arriva tutta la sua vita; e sono unito anche con gli altri e diventiamo quell’ unico Corpo che è la Chiesa.
Poi l’Eucaristia. Magari si dice: «Occorre proprio andare tutte le domeniche a Messa? Non posso pregare anche in altro modo?».
Tutte queste realtà sono mezzi sono “strumenti della salvezza”.
Qual è il fine? Il fine è Gesù presente in noi e tra noi; sono i rapporti nuovi; il fine è la fraternità. E questo che tutti andiamo cercando. Se oggi non si capiscono i “mezzi”, forse è perché lo Spirito Santo vuol far venire in rilievo il fine. Si ha bisogno di vedere il frutto: il frutto del battesimo, gli effetti dell’Eucaristia.
Allora ci si può chiedere: «Ma come fa?». Vedono il ‘prodotto” e chiedono: «Dove l’hai preso?» Allora si può parlare di Gesù e anche della Chiesa. Prima si deve vedere la vita, dopo si scoprono anche la via, i mezzi.
Bella è l’immagine del “corpo” Noi non “abbiamo” un corpo ma “siamo” un corpo. E, nell’essere corpo, ci troviamo a volte in difficoltà perché come persone siamo di più di quello che questo corpo fisico riesce a esprimere. I limiti della nostra condizione corporea ci fanno soffrire.
Con la Chiesa succede qualcosa di simile. La Chiesa, lo diciamo spesso, è il Corpo del Risorto. Ma tante volte sorvoliamo sull’umanità di questo corpo e possiamo subito al fasto che Gesù, che ne è il capo, è risorto ed è Dio. Si è vero, ma noi siamo uomini e viviamo su questa terra. La Chiesa è chiamata a non essere “del mondo” ma essa vive nel mondo. E allora vive in mezzo ai limiti e alle debolezze della nostra realtà umana.
È fondamentale, allora, guardare come Gesù ha vissuto da uomo: quello che ha detto, quali amici ha scelto, come si è mosso. I limiti legati alla dimensione umana della Chiesa difficilmente si superano se non si vive come lui: nel continuo dono di sé, nell’atteggiamento di manifestare il dono di Dio anche a costo della propria vita, col proprio sangue. Occorre metterci d’accordo con gli altri di vivere così, ma cominciare da noi stessi, e testimoniare l’uomo nuovo, l’umanità nuova, senza pretendere nulla dagli altri.
Gesù che vive in noi e tra noi, non possiamo tenerlo solo per noi. Se rimaniamo chiusi tra noi, nel conforto che ci dà la presenza di Gesù, forse si finisce tristi pure noi. Mentre, se ci doniamo a tutti, nella Chiesa e nell’umanità allora, le persone diranno: «Ma questo è un modo diverso di vivere, di essere Chiesa». E allora non si vedrà tanto la dimensione gerarchica e istituzionale della Chiesa, ma si vedrà l’amore, la vita, la testimonianza di persone che sono sempre pronte ad andare incontro agli altri e a dare la vita.
Della Chiesa si dice che è fatta di santi e peccatori. In realtà, tutti noi siamo questi santi e peccatori: ogni giorno c’è in noi uno lotta tra l’uomo vecchio e l’uomo nuovo. Non possiamo tenerci fuori dallo mischia, ma possiamo far vincere ogni giorno l’uomo nuovo e farlo vincere anche negli altri.
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