«No, non lo considero un premio. Il Papa non lo concepisce così. Se lo pensiamo vuol dire non aver capito niente. Fino ad ora mi dovevo occupare della Chiesa di Siena adesso certamente dovrò avere uno sguardo sulla Chiesa universale, non so ancora come ma certamente è questa l’attenzione che il Papa chiede ai suoi cardinali, di essere con lui i portatori di un peso ancora più grande». Così ha accolto la nomina a cardinale l’arcivescovo di Siena-Colle Val d’Elsa-Montalcino, Augusto Paolo Lojudice.
‘Romano de Roma’, 56 anni, don Paolo come «assolutamente anche ora», vuole essere chiamato, ha svolto il suo servizio pastorale sempre nella Capitale e spesso in quartieri difficili di periferia. Ordinato sacerdote nel 1989, parroco a Santa Maria Madre del Redentore nel quartiere di Tor Bella Monaca, e a San Luca Evangelista nel quartiere Prenestino, direttore spirituale nel Pontificio Seminario Romano Maggiore, è ordinato vescovo nel 2015 come ausiliare per il Settore Sud della diocesi di Roma. È noto il suo impegno concreto con immigrati, rom, poveri, gli incontri sulla strada con le giovani prostituite, le iniziative per la legalità nella zona di Ostia a forte presenza mafiosa. Ma non ama essere definito un prete di strada. «Si tratta di essere preti e basta. Le etichette lasciano il tempo che trovano. Non è che a uno piace una cosa e all’altro piace un’altra. A noi deve piacere il Vangelo. Poi ognuno ha la sua sensibilità e il suo carattere. Ma appartiene al Vangelo in quanto tale».
Don Paolo come ha saputo della nomina?
Lunedì scorso avevo incontrato il Papa per un’udienza dopo un anno di presenza a Siena. Abbiamo parlato un po’ di tutto, molto serenamente. Ma della nomina nulla. La notizia mi è arrivata dalla televisione.
Quando lo ha capito quale è stato il primo pensiero?
«E ci mancava pure questo!». Nel senso che di solito non mi annoio, ma come si è fatto altro si farà anche questo. Con grande serenità. Mi sto chiedendo quale tipo di impegno mi sarà chiesto. Vedremo. Ne parleremo.
Poi lo ha sentito il Papa?
Ancora no. Perché la vita continua, è stata una giornata piena. Qui la preoccupazione è stata subito «e allora se ne va». Mi fermano per strada per chiedermelo. No, non me ne vado. Non è assolutamente previsto perché non è nello stile di papa Francesco. Da Roma invece mi telefonano, «ora ritorna a Roma». Rispondo che è molto più probabile che resti a Siena. Il Papa vuole che ci restiamo in modo più forte, più impegnato.
Una maggiore responsabilità?
Papa Francesco ci ha ripetuto tante volte che il cardinalato non è un privilegio che tante volte, purtroppo, la storia e le situazioni hanno creato. Se siamo onesti lo dobbiamo dire. Anche di fronte agli scandali lui immagina una Chiesa diversa, secondo il Vangelo. Non è una fissazione, vuole solo portare la Chiesa a essere evangelica pienamente, non solo in teoria ma anche in pratica.
Dalle periferie come Tor Bella Monaca al cardinalato. È un percorso lineare?
Io lo sento così. Ho sempre cercato di essere me stesso dovunque sono stato. C’è stato un po’ di tutto nella mia vita, ma cerco di riportare tutto al fatto che comunque si parte dai poveri che sono un punto di osservazione fondamentale, come gli occhi dei bambini che sono i più poveri dei poveri.
Ora potrebbe tornare più spesso a Roma.
Mi fa intanto piacere tornare titolare di una chiesa romana. È la mia città, il mio mondo. Non ho mai finto di essere senese, non sarebbe tollerato. Quello che conta, ovunque sono stato, è mettersi dentro le cose. Conosci, capisci e poi le bellezze vengono fuori. Basta volerlo.
La Chiesa romana è attraversata da momenti difficili, e c’è chi sta provando ad approfittarne per attaccare il Papa.
Pensa che le scelte dei cardinali siano un segnale chiaro? Assolutamente. Credo che sia questo il punto. Il pensiero di papa Francesco è chiaro. Lo manifesta con le parole, col suo stile di vita, con le sue scelte. Speriamo di essere all’altezza di queste scelte. (Da Avvenire 27.10.2020)
Osservatore Romano 15 ottobre 20202