Luca evidenzia un nuovo tratto della sua figura spirituale: la capacità di custodire e meditare nel suo cuore tutte queste cose (cf. Lc 2,19), che sono insieme parole ed eventi.
Meditare è detto in greco con il verbo sin-ballo, che significa tenere insieme, unire, impedire la separazione. Sappiamo bene che il suo contrario è dia-ballo, separare, dividere, verbo dal quale deriva il termine «diavolo», il grande separatore.
La realtà è simbolica, non presenta mai una sola faccia, e noi siamo esseri simbolici, chiamati a tenere insieme aspetti diversi che non possiamo assolutizzare, conservando una sola cosa e scartando tutto il resto. Farlo significa compiere qualcosa di diabolico. Il diavolo ci mostra un solo lato di un problema, una sola faccia di una situazione, un solo colore di una persona.
Il separatore lo si sconfigge con l’atteggiamento di Maria: se lui divide, Maria unisce, mette insieme, confronta, ascolta più voci, guarda con più occhi, interpreta quanto accade nella luce della parola dell’angelo, che ricorda, ma anche nella luce delle parole dei pastori, che ascolta.
Per lei la parola dell’angelo non è più importante di quella dei pastori, né quella dei pastori più importante di quella dell’angelo. Ciò che importa, ciò che è davvero essenziale, è tenerle insieme, confrontarle, senza separarle.
Anche la pace la si costruisce in questo modo: tenendo insieme, accettando la tensione di poli diversi e talora contrapposti, che però vanno fatti dialogare l’uno con l’altro, senza dividerli, senza assolutizzare l’uno a scapito dell’altro.
La verità non sta mai da una sola parte e non ha mai un’unica faccia.
Edificare la pace ci chiede poi un secondo atteggiamento, che sempre Luca ci ricorda: saper dare un nome.
A Gesù viene dato un nome, che dice la sua identità, la sua singolarità, la sua dignità come è singolare ogni uomo e ogni donna che calcano la faccia della terra. La pace esige che a ogni persona venga riconosciuto il proprio nome. La verità di quel nome, la dignità di quel nome. Si tratta peraltro di «riconoscere» più che «dare» un nome. Pretendere di dare il nome è ancora atto diabolico, violento, di possesso, di dominio.
La Bibbia ci rende molto vigilanti sulla tentazione di dare il nome alle persone e alle cose, esercitando su di essere un potere e un dominio. Neppure Maria e Giuseppe danno il nome al loro figlio, lo riconoscono, perché il nome viene dall’alto e dall’Altro, viene dall’angelo, viene da Dio.
Ogni creatura ha la sua dignità e il suo significato non perché siamo noi a darglieli, ma perché vengono anche per loro dal cielo, esse sono generate da Dio: è Dio a dare loro il nome ed è Dio a custodirlo nella sua mano e nella sua memoria.
Ed è Dio a benedire quel nome legando a esso il proprio nome, per essere il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe, il Dio di Gesù Cristo. Questo è ciò che deve fare Aronne e che dobbiamo fare anche noi per benedire: porre il nome di Dio sugli altri. Legare il nome di Dio al loro nome, perché ogni persona appartiene a Dio. Noi non abbiamo alcun potere su di esse se non quello di porre su di loro il nome di Dio per benedirle nella sua santità.
(da Messa e preghiera quotidiana EDB)