Marco scrive il suo Vangelo negli anni 68-70 d.C., dopo la persecuzione di Nerone. Le comunità cristiane sono ferite, ma ancora molto vive. Faceva tuttavia difficoltà all’adesione a Gesù e al Vangelo, da parte dei Giudei, la croce, da loro ritenuta una maledizione. E di conseguenza non si poteva pensare un Messia crocifisso! Paolo lo scrive ai Corinzi: “La croce è uno scandalo per i giudei e una follia per pagani”.
E si cercava di aiutare le persone a cogliere la croce come espressione dell’amore e della sapienza di Dio. E il racconto della Trasfigurazione voleva rispondere a questo problema.
Gesù prende con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li conduce in disparte su un monte alto. Quindi va abbandonata la pianura, dove si ragiona secondo i criteri di questo mondo e ci si lascia accompagnare da Gesù nella salita sul monte là dov’è – come si credeva – la dimora delle divinità.
Il dettaglio – loro soli! – che Marco annota, indica che per assimilare il pensiero di Dio bisogna rimanere soli con Gesù, in intimità con lui: nel silenzio, nella meditazione, nella preghiera, momenti in cui ci si lascia coinvolgere nel suo modo di vedere il mondo, gli uomini, la vita.
Sul monte Gesù appare diverso! Entrati nel mondo di Dio, si assiste a una trasformazione del suo volto, si trasfigura davanti a loro. Anche le sue vesti, quelle dello schiavo, di colui che è al servizio, diventano luminose, bianchissime, splendenti, e l’evangelista Marco ci insiste su questo candore: “Nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche”.
E Pietro vorrebbe fermarsi. Come accade anche a noi quando ascoltiamo il Vangelo. Ci piace e vorremmo rimanere in contemplazione, lontano dai problemi, i conflitti sociali, dissensi familiari, drammi che, al contrario, incutono paura.
Anche i discepoli erano spaventati. Se chi dona la vita è il vincitore agli occhi di Dio e la vita riuscita è quella di chi ama, c’è da spaventarsi: Ed ecco, ora, la voce del Cielo, che chiarisce il significato dell’esperienza che hanno fatto i tre discepoli. Ascoltiamo.
Venne una nube.
Sempre una nube luminosa aveva protetto il popolo d’Israele nel deserto. Anche Dio aveva la sua tenda nella quale Mosè entrava per incontrare il Signore. Il significato è chiaro: i tre discepoli adesso sono stati introdotti nel mondo, nel pensiero di Dio, hanno avuto una illuminazione speciale, che ha fatto loro comprendere, o perlomeno intuire, la vera identità del Maestro e la meta del suo cammino. Gesù non si sarebbe manifestato come un Messia trionfatore che tutti si attendevano, ma come colui che, dopo un aspro conflitto confronto con il potere religioso, sarebbe stato osteggiato, perseguitato e alla fine anche tolto di mezzo.
Da questa nube, cioè da Dio, è uscita una voce: “Questi è il Figlio mio prediletto, ascoltatelo”. È il Padre del Cielo che riconosce in Gesù di Nazareth, il Figlio prediletto, come a dire: “Se voi guardate Lui voi vedete Me, è l’unigenito, colui che riproduce perfettamente il mio volto”.
La conseguenza è: “ascoltatelo”. Ascoltare, shemà in ebraico, non significa udire semplicemente con le orecchie, significa “dare la propria adesione a Lui”.
Non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro (Mc 9,2-10). Alla fine rimane solo Lui, Gesù, come unico, che vive con noi, come uno di noi ma con il cuore di Dio.
Egli è l’apripista che fa strada dentro le traversie della vita e attraversa con noi, ma davanti, il tunnel buio, che però è sopraffatto dalla luce che viene incontro. È Lui solo, con noi, che illumina ogni croce. E dice infatti: “Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita (Gv 8, 12).
Ma è un’esperienza che va fatta per poter comprendere l’azione di Gesù solo, con noi.
È Lui che, vivendo dentro ogni dolore, genera pace e gioia del tutto nuove, vivendo dentro ogni morte fa vedere la potenza della risurrezione. È Lui che ci dice ancora: “Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!” (Gv 16,33). È Lui l’Amore che vince; e anche il nostro vincerà, perché è Lui che, vivendo con noi l’Amore, è capace di generare cose nuove per un futuro pieno di speranza.