Avevo 23 anni, una vita da libertino, quando ho scoperto il Vangelo. Mi colpì all’inizio l’invito amorevole: “Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò”. Ma, dopo, la minaccia della parabola del fico infecondo: “Vedremo se porterà frutto; se no, lo taglierai”, sono state parole che ebbero su di me un tale impatto che le ricopiai su un foglio e lo attaccai alla porta della camera. Per appendere quel foglio, ne staccai un altro: un poster con un’auto di lusso, con un giovane lui che apriva la portiera a una bella lei e la scritta “Saranno felici”.
Eccomi così a staccare quell’annuncio di un programma di vita per sostituirlo con l’altro ben diverso. Avvertii subito che la misericordia infinita, in Gesù, conviveva con la giustizia altrettanto infinita. La vita e la morte, e l’aldilà cui questa dà accesso, sono le cose più serie: non si può essere superficiali e spensierati.