Allora i giusti splenderanno come il sole (Mt 13,43
Allora, finalmente, di sicuro. È proprio una certezza: il bene vincerà! Anzi già vince anche se non si vede.
Ma noi, abituati a notizie di male, corriamo il rischio di fermarci e di adeguare orecchie, occhi e anche cuore a questo modo di vedere e di pensare negativi. E questo può accadere senza sapere che il male non può aver futuro ma solo la possibilità di avvoltolarsi su se stesso come dice il proverbio – «Il cane è tornato al suo vomito e la scrofa lavata è tornata a rotolarsi nel fango» (1Pt 1,22) – E così possiamo diventare negativi, delusi, impotenti, privi di speranza.
E invece no! È il bene che vince e deve passare, diffondersi – quanto è bella e confortante una cronaca bianca! E quando si potrà vedere un giornale o un portale che la trasmetta? –
Il bene dunque va compiuto sempre e comunque finché se ne possa sentire fin d’ora il calore benefico e usufruire della sua luce così che esso possa introdursi in ogni fessura o crepa provocata dal male. Nella consapevolezza tuttavia che fa più rumore un albero che cade che una foresta che lentamente cresce.
La fede nei lager
Nel maggio del ’41, Padre Kolbe, parte per il campo di concentramento di Auschwitz insieme ad altri 320 prigionieri in vagoni blindati:
“Appena le guardie di scorta ci ebbero stipati nei vagoni, sprangando dall’esterno le porte, un silenzio di tomba ci avvolse. Ma appena il treno si mosse qualcuno intonò un canto religioso, che molti tra noi ripresero. Mi interessai della persona che aveva dato inizio a quei canti, ed appresi che era stato padre Kolbe” (testimonianza di Ladislao Swies 28.5.41)
La fede di padre Kolbe dunque non ha mai vacillato. Lo testimonia Alessandro Dzuba, uno dei deportati sopravvissuti quando racconta i momenti di disperazione:
“Ero sull’orlo della disperazione. I Kapo in quei giorni non facevano che bastonarmi sul lavoro. Decisi di farla finita e di buttarmi sui reticolati dove c’era l’alta tensione. Lo stavo per fare ma mi acchiapparono e mi buttarono indietro inveendo su di me a colpi di bastone. Padre Kolbe, quando lo seppe, venne a cercarmi, mi ridiede la calma e riuscì a persuadermi, così bene che non pensai più al suicidio”.
Lo testimoniano anche le sue lettere dalla prigionia. L’ultima che scrive alla madre è la più emblematica: “Stai tranquilla per me perché il buon Dio c’è in ogni luogo e con grande amore pensa a tutti e a tutto”.
In seguito poi alla fuga di un prigioniero dal campo, quindici deportati dello stesso blocco vengono selezionati come colpevoli e mandati a morire di fame e di sete nel bunker della morte.
Un certo Francesco Gajowniczek – marito e padre di famiglia – supplica il lagherfurher di risparmiargli la vita. A quel punto Padre Kolbe si offre liberamente di prendere il suo posto.
Dopo 14 giorni, rimangono solo quattro uomini ancora in vita, fra cui padre Massimiliano. Allora le SS decidono di abbreviare la loro fine con una iniezione di acido fenico. Il francescano martire volontario, tende il braccio e si rivolge al medico che lo sta per uccidere dicendo “Lei non ha capito nulla della vita. L’odio non serve a niente. Solo l’amore crea” è il 14 agosto 1941. Il giorno dopo, festività dell’Assunta, il suo corpo viene cremato.
Una volta Padre Kolbe aveva detto:
“Vorrei essere come polvere per viaggiare con il vento e raggiungere ogni parte del mondo e predicare la Buona Novella.”
Quando i carcerieri nazisti bruciano il suo corpo nel forno crematorio, non sanno di realizzare così il suo più grande desiderio.
Significativa testimonianza nel carcere di Regina Coeli
Anno 1970: è una stupefacente preghiera scritta da un uomo, nel momento in cui la sua anima si stava aprendo al mistero dell’amore misericordioso di Dio. Il carcerato, però, esitava ancora e, allora, invece di rivolgersi a Dio, si rivolse a Giuda con inconsuete parole, che mi confidò due giorni prima del Santo Natale. Comincia così:
«Giuda, fratello mio…» Ma poi a un tratto il referente cambia: «O Dio, / lasciami gridare per questo scandaloso amore / che tu hai per me, / per l’uomo, / per il traditore!».
Dopo questa singolare preghiera, che nel Natale del 1970 lessi piangendo, cadde per il carcerato il muro della paura e l’uomo si aprì alla festa del perdono.
Guardando Gesù, scoprì che Dio è Amore infinito: credette e la sua anima si riempì di una grande gioia, che era riverbero della gioia ben più grande del Cuore di Dio. E – lo ricordo benissimo – dopo la Confessione, recitò con me un’Ave Maria.
E mi disse: «Maria oggi ha abbracciato Giuda!».
Risposi: «Queste sono le vittorie di Dio! Questo è il cristianesimo! Come sarebbe stata diversa la storia di Giuda, se avesse chiesto perdono!» (Comastri)
Ss Gioacchino e Anna a Pucciarella 2016
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