«L’apostolo Paolo spiega ai cristiani di Corinto cosa è evangelizzare» (1 Corinzi 9, 16-19.22-27).
E Paolo, comincia così il suo ragionamento.
«Fratelli, cosa non è evangelizzare?
Annunciare il Vangelo non è per me un vanto. Dunque, non ci si deve certo vantare «di andare a evangelizzare: vado a fare questo, vado a fare quell’altro», quasi che evangelizzare sia «fare una passeggiata». Sarebbe come «ridurre l’evangelizzazione a una funzione: io ho questa funzione». E «sto parlando di cose che succedono in qualche parrocchia nel mondo, quando il parroco ha sempre la porta chiusa».
Può anche capitare di incontrare «laici che dicono “io faccio questa scuola di catechesi, faccio questo, questo, questo…”». Riducendo così quello «che loro chiamano evangelizzare a una funzione». Magari vantandosi dicendo: «io faccio questa funzione, sono un funzionario catechista, sono funzionario di questo, di quello, di quello… e poi continuo la mia vita».
Ma questo è proprio l’atteggiamento di chi si vanta, ha insistito il Papa, «è ridurre il Vangelo a una funzione o anche a un vanto: “io vado a evangelizzare e ho portato in Chiesa tanti”». Già, ha proseguito, «anche fare proselitismo è un vanto». Invece, «evangelizzare non è fare proselitismo». Di più: evangelizzare non è mai «fare la passeggiata; ridurre il Vangelo a una funzione; fare proselitismo».
Cosa significa davvero evangelizzare?
San Paolo lo ripete efficacemente: «Per me non è un vanto, per me è una necessità che mi si impone». Infatti «un cristiano ha l’obbligo, ma con questa forza, come una necessità, di portare il nome di Gesù, ma dal proprio cuore». E ha scandito le chiare parole dell’apostolo: «Guai a me se non annuncio il Vangelo!».
Un’ammonizione — «guai a te!» — che raggiunge quel cattolico che pensa: «Vado a messa, faccio questo e poi niente di più». Invece «se tu dici che sei cattolico, che hai ricevuto il battesimo, che sei cresimato o cresimata, devi andare oltre e portare il nome di Gesù: è un obbligo!».
Qual è lo stile dell’evangelizzazione?
La risposta la suggerisce sempre Paolo: «Lo stile è farsi tutto a tutti». Scrive infatti l’apostolo: «Mi sono fatto tutto per tutti». Significa, in sostanza, «andare e condividere la vita degli altri, accompagnare nel cammino della fede, far crescere nel cammino della fede».
In pratica si tratta di comportarci come quando «si accompagna un bambino, per esempio: quando vogliamo che un bambino impari a parlare, non prendiamo I promessi sposi e gli diciamo: “Parla, leggi questo e parla!”». Piuttosto gli insegniamo a dire anzitutto «Mamma e papà». E così facendo «noi ci facciamo come bambini perché il bambino cresca».
Ecco «con i fratelli dobbiamo fare lo stesso: stare alla condizione in cui è lui e se lui è ammalato, avvicinarmi, non ingombrarlo con argomenti; essere vicino, assisterlo, aiutarlo». Quale allora lo stile da usare per annunciare il Vangelo? Si evangelizza proprio «con questo atteggiamento di misericordia: farsi tutto a tutti», nella certezza che «è la testimonianza che porta la Parola».
Papa Francesco a S. Marta 9/09/2016 – 1^ parte
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