16.07.2017 – 15^ del Tempo Ordinario: LA SORTE DEL SEME
, Con 0 Commenti, Categoria: Liturgia, Omelie,“Il seminatore uscì a seminare” (Mt 13,3)
Il nutrimento base della popolazione della Palestina era costituito dal frumento, ma erano diffusamente coltivati anche l’orzo, l’olivo e la vite. L’aratura e la semina venivano svolte all’inizio di novembre dopo le prime piogge, ma erano sempre in agguato imprevedibili periodi di siccità. Il contadino spargeva la semente a mano; questa scena familiare, dà a Gesù lo spunto per questa famosa parabola del seminatore.
Evidentemente quel seme, balzellando, cade ovunque. Se è in superficie, diventa cibo per gli uccelli e scompare; se va tra i sassi, spunta qualche stelo qua e là ma solo per dire che il seme è arrivato fin lì; se va nei cespugli, non avendo lo spazio per crescere, si piega e si secca sotto il peso dei rovi; se cade su terreno buono, frutta bene a seconda dell’acqua che vi giunge e del sole che ne produce lo sviluppo; ora più piccolo, ora più grande ma, comunque, frutto da raccogliere.
Un seme dunque che Gesù stesso definisce come Parola di Dio. Un seme che è proprio Lui! E che attecchisce dentro e coinvolge nella sua vita. Implica il coraggio di spostarsi dalla tua parte che equivale a credere e vivere costantemente la tua Parola, che è proprio Lui.
Cos’è allora la strada se non quel modo di ascoltare distratto o anche capace di filtrare ciò che sente? Non è più la Parola di Dio ma il parere sulla Parola. È la superficialità che minimizza o riduce la Parola tenendola in superficie, roba da facciata! Essa subito scompare.
E cos’è il terreno sassoso se non quell’ascolto anche entusiasta ma simile a fuoco di paglia che poi diventa cenere? Si tratta dell’emotività che ingigantisce ogni evento di grazia pensandolo risolutivo mentre è solo un incentivo per iniziare il cammino di fede.
E cos’è il cespuglio di rovi se non l’ascolto attento ma in mezzo a mille pensieri? Si comprende qualcosa ma che poi è fagocitata da quei pensieri che, molto presenti ogni giorno, finiscono col sopraffare il modo di pensare di Dio.
Si tratta qui della preoccupazione che, al contrario, ingrandisce le cose o eventi che accadono e li fa rincorrere pensando di poterli risolvere, mentre la Parola dice di riversare su di lui ogni nostra preoccupazione, perché egli ha cura di noi (1 Pt 5,7). E Gesù stesso raccomanda: “Non preoccupatevi del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena (Mt 6,34)
E cos’è il terreno buono se non l’anima e il cuore che si spalancano e ammettono un’azione anche personale ma con l’apertura a Dio per il 30xcento, il 60xcento, il 100xcento? Non è quindi riuscire sempre più e sempre meglio a compiere il lavoro a due: io e Dio?
C’è un trenta per cento che dice lo sforzo – e quindi già siamo nella sfera del bene – ma con una visione un po’ ristretta, come a dire casareccia: è importante vivere bene in famiglia!
C’è un sessanta per cento che esprime una generosità sempre più grande che va ben oltre la propria cerchia.
C’è un cento per cento che manifesta la totale apertura a Dio, visto e accolto come unico bene. E da qui parte per vivere ogni giorno alla sua luce e poter realizzare l’unico amore senza condizionamenti, purificante e fecondo di bene oltre i propri sforzi e le proprie aspettative.