05.11.2017 – 31^ del Tempo Ordinario: Parole importanti: UN SOLO MAESTRO E UN SOLO PADRE DI TANTI FRATELLI! (Mt 23, 1-12)

Pubblicato da Stefano, Con 0 Commenti, Categoria: Liturgia, Omelie,

Due sono le denunce di Gesù. La prima è l’occupazione della “cattedra di Mosè”. Un tale fatto obbliga a distinguere la dottrina comunicata (da accogliere) e l’esempio negativo di chi insegna (da non seguire). La seconda è fatta di due condanne:

1. Imposizione sul collo dei loro discepoli un giogo di norme e tradizioni insopportabili che non toccano neppure con un dito. Anzi, più sono inflessibili e rigidi con gli altri, più si sentono fedeli e giusti: «Diffida dell’uomo rigido, è un traditore» (W. Shakespeare)
Dicono e non fanno!
È un danno per chi agisce così ma anche un richiamo per chi è tentato di dar lezioni di vita, soprattutto evangelica, e non ci prova nemmeno lui a praticarla. È l’antico sistema messo in atto da chi ha molte conoscenze ma, dentro di lui, si percepisce il vuoto.
Gesù ci richiama ad una coerenza di vita e invita a prendere coscienza della nostra realtà interiore e, costatata l’insufficienza, l’inadeguatezza, la condizione di peccatori, esprimere con la massima umiltà e delicatezza le cose piccole o grandi da vivere dicendo: guarda, questa è la vita da vivere, il Vangelo da mettere in atto; anch’io cerco di viverlo con fatica; ora possiamo viverlo insieme e sarà meno faticoso e più vero.

2. Agire per essere ammirati dalla gente! Qui vengono segnalati i filattèri (piccoli astucci contenenti testi della Legge, fissati sulla fronte e sull’avambraccio – Dt 6,8 e 11,18); le frange del vestito (munite di fiocchi e fili violacei per ricordare i comandamenti di Jahvé – Nm 15,38). Con questi due segni, scribi e farisei mettevano in mostra la loro condizione, dicendo a tutti: ‘Attenzione, io amo la Legge di Dio e la metto in pratica!’
Non c’è molta differenza tra il cercare l’ammirazione o l’approvazione di ciò che si fa nel campo del bene.
Questo accade perché ancora si è al livello di superficie e, più evidente, nel tempo dell’infanzia spirituale quando si cerca di reggersi in base al parere della pubblica opinione o di quello dei più; è l’essere tranquilli perché tutto procede bene, senza intoppi. E quindi si può pensare che, anche la vita buona, sia buona proprio per questo.
È un abbaglio che sfocia in una illusione amara quando questo parere positivo viene a mancare. Il punto è che si è privi dell’esperienza che il bene fatto, l’amore che si dà, ha il vero consenso e approvazione da Dio, nel cuore. E ciò deve bastare in quanto colma la misura della gioia. Altri consensi non servono a noi ma eventualmente a Dio che riceve lode e gloria. Si legge nel Vangelo: “risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli. (Mt 5,16)
Fin qui Gesù descrive la situazione. Poi esprime il suo principio di vita:
“C’è un solo Maestro” che è Lui stesso, diverso da tutti anche perché non viene da alcuna scuola rabbinica ma che insegna con autorità quello che ha udito dal Padre; e, cosa anche questa nuovissima, nessuno dei suoi discepoli potrà mai diventare “maestro” dopo di Lui. I primi discepoli sono sicuri, secondo la sua promessa, che Egli continua ad essere con loro. Nessuno si sogna di annunciare qualcosa di proprio.
“Tutti sono fratelli!” che fu subito la coscienza della Chiesa primitiva: prima si è fratelli e sorelle! Ogni altra qualifica non scalfisce di un millimetro questa verità primaria.
“Uno solo è il Padre” del quale si fa concreta esperienza.
In conclusione: “Si deve sempre puntare lo sguardo nell’unico Padre di tanti figli (papà, suocera, figlio piccolo e quello ribelle; il carcerato, il mendicante e il disabile; il capo ufficio e la signora delle pulizie; il compagno di partito e chi ha idee politiche diverse dalle nostre; chi è della nostra fede e cultura come pure lo straniero). Poi guardare tutte le creature come figlie di un unico Padre … Gesù, modello nostro, ci insegna due sole cose, che sono una: ad essere figli di un solo Padre e ad essere fratelli gli uni degli altri” (Chiara Lubich, Payerne – Svizzera, 1982). (Da Parola di Vita, novembre 2017)
L’atteggiamento tipicamente cristiano per amare il fratello è servirlo: “Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo”. Servire vuol dire vivere «a partire da me, ma non per me» (Martin Buber)
Ci sono nella vita tre verbi mortiferi, maledetti: avere, salire, comandare. Ad essi Gesù oppone tre verbi benedetti: dare, scendere, servire. Se facciamo così siamo felici.