Oggi, in cui tutto il mondo sta avviandosi verso un umanesimo di nuovo conio, l’imperativo cristiano della carità appare di estrema attualità: un umanesimo dove l’uomo guarda l’uomo, e il popolo l’altro popolo attraverso la lente trasfigurante della persona del Cristo.
Il Concilio Vaticano II° ha preso coscienza del posto nuovo che sta assumendo l’uomo nel concetto della società moderna e riafferma che «la legge fondamentale dell’umana perfezione, e perciò anche della trasformazione del mondo, è il nuovo comandamento della carità. Coloro pertanto che credono alla carità divina, sono da Cristo resi certi che la strada della carità è aperta a tutti gli uomini e che gli sforzi intesi a realizzare la fraternità universale non sono vani» (Gaudium et spes, 38).
Papa Paolo VI°, commentando questo passo, ha detto:
«La carità nella Chiesa tende ad avvalorare l’uomo, a rispettarlo, a dargli coscienza della sua grandezza; non lo umilia, ma lo esalta, non lo narcotizza, ma lo risveglia al senso della sua dignità, non lo disprezza mai – e come potrebbe? – ma lo stima e lo ama, si china verso di lui, lo abbraccia e gli trasfonde quasi il proprio cuore, come Gesù che lavò i piedi agli apostoli, come i santi che seppero abbracciare i lebbrosi e gli infermi. La carità si situa luminosamente nel ruolo, a cui la Chiesa è chiamata, di portare l’uomo al suo pieno sviluppo…» (Insegnamenti di Paolo VI, VII, 1969, p. 731).
I santi videro sempre chiaro su questo punto. Sono infatti arrivati al vertice della perfezione perché hanno amato il prossimo.
Ho letto della vergine senese: «… ma Caterina pensava che non basta dare quando siamo richiesti e non basta non stornare l’orecchio da quelli che ci supplicano: cominciò quindi a mettersi alla ricerca degli indigenti. Mentre tutti dormivano andava a deporre alla loro porta pane, un fiasco di vino e un sacchetto di farina o un cestino d’uova. Come un tempo san Nicolò da Bari. E poi scappava via in fretta senza che nessuno se ne fosse accorto…» (G. Joergensen, op. cit., p. 99).
La stessa Teresa d’Avila, contemplativa per eccellenza, affermava: «Il Signore vuole opere. Vuole, ad esempio che non ti curi di perdere quella devozione per consolare un’ammalata a cui vedi di poter essere di sollievo, facendo tua la sua sofferenza, digiunando tu, se occorre, per dare a lei da mangiare … Ecco in che consiste la vera unione con il voler di Dio!» (S. Teresa di Gesù, Castello interiore, in Opere, Roma 1967, p. 847 ).
Chiara Lubich in Si,si,no,no (1973) – 1^ parte
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