La sapienza è sollecitata a considerare la qualità etica e spirituale della vita in tutte le sue fasi.
Esiste una vita umana concepita, una vita in gestazione, una vita venuta alla luce, una vita bambina, una vita adolescente, una vita adulta, una vita invecchiata e consumata – ed esiste la vita eterna. Esiste una vita che è famiglia e comunità, una vita che è invocazione e speranza. Come anche esiste la vita umana fragile e malata, la vita ferita, offesa, avvilita, emarginata, scartata. È sempre vita umana.
È la vita delle persone umane, che abitano la terra creata da Dio e condividono la casa comune a tutte le creature viventi.
Il lavoro “bello” della vita è la generazione di una persona nuova, l’educazione delle sue qualità spirituali e creative, l’iniziazione all’amore della famiglia e della comunità, la cura delle sue vulnerabilità e delle sue ferite; come pure l’iniziazione alla vita di figli di Dio, in Gesù Cristo.
Quando consegniamo i bambini alla privazione, i poveri alla fame, i perseguitati alla guerra, i vecchi all’abbandono, non facciamo noi stessi, invece, il lavoro “sporco” della morte? Da dove viene, infatti, il lavoro sporco della morte? Viene dal peccato. Il male cerca di persuaderci che la morte è la fine di ogni cosa, che siamo venuti al mondo per caso e siamo destinati a finire nel niente. Escludendo l’altro dal nostro orizzonte, la vita si ripiega su di sé e diventa bene di consumo. Narciso, il personaggio della mitologia antica, che ama sé stesso e ignora il bene degli altri, è ingenuo e non se ne rende neppure conto. Intanto, però, diffonde un virus spirituale assai contagioso, che ci condanna a diventare uomini-specchio e donne-specchio, che vedono soltanto sé stessi e niente altro. È come diventare ciechi alla vita e alla sua dinamica, in quanto dono ricevuto da altri e che chiede di essere posto responsabilmente in circolazione per altri.
«La difesa dell’innocente che non è nato deve essere chiara, ferma e appassionata, perché lì è in gioco la dignità della vita umana, sempre sacra, e lo esige l’amore per ogni persona al di là del suo sviluppo. Ma ugualmente sacra è la vita dei poveri che sono già nati, che si dibattono nella miseria, nell’abbandono, nell’esclusione, nella tratta di persone, nell’eutanasia nascosta dei malati e degli anziani privati di cura, nelle nuove forme di schiavitù, e in ogni forma di scarto» (Esort. ap. Gaudete et exsultate, 101).
La cultura della vita deve poi rivolgere più seriamente lo sguardo alla “questione seria” della sua destinazione ultima. Si tratta di mettere in luce con maggiore chiarezza ciò che orienta l’esistenza dell’uomo verso un orizzonte che lo sorpassa: ogni persona è gratuitamente chiamata «alla comunione con Dio stesso in qualità di figlio e a partecipare alla sua stessa felicità. […] La Chiesa insegna che la speranza escatologica non diminuisce l’importanza degli impegni terreni, ma anzi dà nuovi motivi a sostegno dell’attuazione di essi» (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 21). Occorre interrogarsi più a fondo sulla destinazione ultima della vita, capace di restituire dignità e senso al mistero dei suoi affetti più profondi e più sacri. La vita dell’uomo, bella da incantare e fragile da morire, rimanda oltre sé stessa: noi siamo infinitamente di più di quello che possiamo fare per noi stessi. (…) La vita dell’uomo, però, è anche incredibilmente tenace, di certo per una misteriosa grazia che viene dall’alto, nell’audacia della sua invocazione di una giustizia e di una vittoria definitiva dell’amore. Ed è persino capace – speranza contro ogni speranza – di sacrificarsi per essa, fino alla fine. Riconoscere e apprezzare questa fedeltà e questa dedizione alla vita suscita in noi gratitudine e responsabilità, e ci incoraggia ad offrire generosamente il nostro sapere e la nostra esperienza all’intera comunità umana.
La sapienza cristiana deve riaprire con passione e audacia il pensiero della destinazione del genere umano alla vita di Dio, che ha promesso di aprire all’amore della vita, oltre la morte, l’orizzonte infinito di amorevoli corpi di luce, senza più lacrime. E di stupirli eternamente con il sempre nuovo incanto di tutte le cose “visibili e invisibili” che sono nascoste nel grembo del Creatore.
Dal Discorso di Papa Francesco ai partecipanti all’Assemblea generale della pontificia accademia per la vita.
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