Tutto questo andirivieni che caratterizza luglio e agosto costituisce, al di là di tutto, una sorta di coreografia interiore.
Si direbbe che la vita stessa ci sollecita ad ascoltarla in un’altra maniera.
In effetti, è con questo imperativo che ognuno di noi combatte, in modo più o meno esplicito o implicito: l’irresistibile bisogno di ritrovare la vita nella sua forma pura.
Se la linea azzurra del mare ci seduce tanto, è anche perché questa immensità evoca il nostro vero orizzonte dentro di noi.
Se ascendiamo sulle alte cime, è perché nella chiara visione che di lassù si ottiene della realtà, in quella visione splendente e senza cesure, riconosciamo una parte importante di un appello più intimo.
Se cerchiamo altre città (e in queste città una cattedrale, un museo, una testimonianza di bellezza, un non so che…), lo facciamo anche inseguendo una geografia interiore.
Se semplicemente ci dedichiamo a un’esperienza di tempo dilatato (pasti presi senza fretta, conversazioni che si prolungano, visite e incontri), è perché la gratuità, e solo essa, ci dà il sapore, che avevamo rimandato, dell’esistenza stessa.
Va ben compreso quel verso di Rilke che dice: «Attendo l’estate come chi attende un’altra vita».
In realtà, non è una vita stravagante e fantasiosa quella che noi attendiamo, ma una vita degna di questo nome. Per questo è così decisivo che le ferie siano di più che non un periodo irregolare, rumoroso e vuoto.
(José Tolentino Mendonça Avvenire, 30.06.2019)