01.09.2019 – 22^ Tempo Ordinario: Stare al posto di servizio – Lc 14, 1.7-14
, Con 0 Commenti, Categoria: Liturgia, Omelie,Due sono i rilievi da fare prima di entrare nel brano.
1. La parola che ricorre più spesso delle altre (ben 5 volte!): è invitato – invitati. Il termine greco del testo originale va tradotto con chiamato – chiamati.
2. Gesù non parla come un ospite, ma come se fosse un padrone.
Bastano queste due semplici osservazioni per intuire che la cena di Gesù in terra palestinese è una cornice artificiale. Luca se ne serve per porre sulla bocca del Signore una lezione ai chiamati, cioè ai cristiani delle sue comunità.
Esplodono, sempre più spesso, dissensi e dissapori per questioni di precedenze. È l’eterno problema della Chiesa: tutti dovrebbero servire, ma, in pratica, c’è sempre chi vuole primeggiare, si gonfia di orgoglio. Gesù aveva chiarito: “Chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22, 26-27).
Ora è bene sapere che in Israele la tradizione impone di invitare solo quattro categorie di persone: gli amici, i fratelli, i parenti, i ricchi vicini. Il che non può far sentire in colpa colui che ha invitato Gesù.
Ma qui non è il Gesù seduto a tavola in una casa della Palestina che sta parlando, ma è il Signore risorto che si rivolge al fariseo presente nelle comunità di Luca.
E cosa dice? Che bisogna dare inizio a un nuovo banchetto in cui le quattro categorie della “gente per bene” cedano il posto alle altre quattro: “Quando offri un banchetto invita poveri, storpi, zoppi e ciechi” (Lc 14,13).
Questi non erano ammessi nel tempio del Signore (Lev 21,18;2Sam 5,8). La loro condizione era un chiaro segno del loro stato di peccato e l’assemblea degli Israeliti doveva essere composta da gente integra, perfetta, pura, senza difetti. Rappresentano dunque quelle persone che hanno sbagliato nella vita. Sono il simbolo di chi cammina senza la luce del Vangelo e inciampa, cade, fa del male a se stesso e agli altri, passa da un errore ad un altro. Gesù ricorda ai suoi discepoli che la festa è stata organizzata proprio per costoro. Guai ad escluderli. E chiede di amare gratuitamente, di fare del bene in pura perdita.
Quale sarà la ricompensa?
Chi ama, avendo come obbiettivo la sola ricerca del bene del fratello, diviene simile al Padre che sta nei cieli, fa l’esperienza della sua stessa gioia.
Nella comunità cristiana, dunque, ci sono solo “posti di servizio”. Sono io, per primo, ad accogliere Gesù nel povero che mi interpella. Sono io lì ad alzarmi dando il mio posto all’ anziano o ad una donna in attesa, che entrano in Chiesa; al massimo procuro una sedia per loro. Sono io che nel bus faccio sedere chi entra ed è, in qualche modo, sofferente o vedo che ne ha comunque bisogno.
Quale può essere l’umile servizio in casa?
1. Guardare l’altro finché non si senta più importante di sé.
2. Imparare gli uni dagli altri, ascoltandosi; anche il bambino può benissimo insegnare.
3. Far crescere l’altro dando spazio e non occuparlo, stando troppo sopra.
4. Non credere di avere la soluzione in tasca ma vedere insieme.
5. Aver timore di ogni rigidità e sfuggirla.
6. Insegnare ai figli a cedere il posto a chi ha bisogno e a servire a tavola come tutti.
7. Parlare bene degli altri, mettendo in luce il positivo.
8. Aiutarsi ad accogliere l’altro fatto ad immagine di Dio, seguendo ciò che dice Gesù: “qualunque cosa fai al più piccolo, la fai a Me” (cfr Mt 25).
9. Essere famiglia aperta senza pregiudizi; sarà sempre più se stessa.
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