Una gelida mattina di dicembre a Budapest. Alla stazione attendevo qualcuno da Monaco di Baviera che sarebbe arrivato con l’Orient Express.
C’era un certo ritardo e guardavo in giro cercando dove comprare una bevanda calda. Da destra vidi avvicinarsi un barbone. Fu automatico cercare di ritrarmi immaginando la scia di fetore che gli aleggiava attorno.
Poi una domanda da chissà quale angolo della mente: “E se fosse tuo padre?”. Se fosse stato mio padre gli sarei andato incontro, certamente non mi sarei allontanato.
Rimasi fermo al mio posto e seguii il faticoso trascinarsi di quell’uomo. Non so quale età avrei potuto dargli. Malvestito, le labbra screpolate. Nella mano destra un grosso sacchetto di plastica pieno di bottiglie vuote. Con l’altra cercava di tenere insieme i brandelli neri di un ombrello. Le pupille degli occhi erano azzurre come due perle in un mare rosso di tempesta.
Gli sorrisi. Rispose consapevolmente con un elegante segno di gratitudine.
Quell’uomo passò. Mi sorpresi di non aver sentito nessun fetore, anzi quel passaggio lasciò in me qualcosa di gradevole. Fui grato che il treno avesse avuto ritardo.
G.M., Ungheria
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