I giovani non sono “atei”, ma in ricerca. Ce lo dicono Paola Bignardi e don Stefano Didonè, curatori del volume Niente sarà più come prima. Giovani, pandemia e senso della vita (Vita e pensiero, 2021).
“La sensibilità religiosa dei giovani sta subendo una profonda trasformazione: non sta scomparendo, ma sta cambiando sulla spinta della progressiva marginalizzazione del cristianesimo dalla società, i cui effetti si vedono anche nella scomparsa delle risposte della fede agli interrogativi della vita – scrivono i curatori nell’ introduzione al volume –. Lo scenario italiano rimane caratterizzato da una cultura cattolica che fa da sfondo più per il mondo degli adulti, anch’esso in crisi di identità rispetto a quello dei giovani, più aperto a nuove contaminazioni culturali e religiose”. Dunque, come si sta modificando l’atteggiamento delle giovani generazioni nei confronti della questione religiosa e, più complessivamente, davanti alla vita? Sir ne parla con Paola Bignardi.
Professoressa, partiamo dal titolo: “Niente sarà più come prima”. Lo abbiamo detto e sentito tante volte. Quali saranno a suo avviso gli aspetti dell’esistenza umana che risentiranno maggiormente dell’irruzione della pandemia?
In effetti questa espressione è stata molto presente qualche tempo fa nelle discussioni sugli effetti della pandemia. In qualche caso sembrava un’espressione ingenua di qualche ottimista a oltranza, in altri sembrava esprimere la consapevolezza che un evento di questa portata ha introdotto nella vita del pianeta una frattura che segna un prima e un poi. Certamente la pandemia avrà i suoi effetti sull’economia, sul lavoro, sulle abitudini di tutti; già da oggi vediamo quanto sta contribuendo ad accrescere le disuguaglianze: di genere, di generazione, di regione e di nazione. Vi sono tuttavia dei cambiamenti ancor più importanti di questi, benché invisibili: sono quelli interiori, riguardano le domande sulla vita che le persone si pongono. La pandemia ha fatto emergere nuovi interrogativi che sembravano archiviati per sempre.
Veniamo agli under30: genitori, insegnanti, educatori segnalano pesanti effetti sui giovani da quest’anno di chiusure, lezioni interrotte, amicizie e relazioni sospese… Quali effetti sta producendo la pandemia sul loro modo di porsi dinanzi all’oggi e al futuro?
Per molti giovani la necessità di stare chiusi in casa per giorni è stata un’esperienza inedita che ha inciso soprattutto sul loro mondo relazionale. Quello familiare per qualcuno ha costituito una scoperta: genitori e fratelli sono apparsi come sconosciuti. Stare con loro in una relazione continua e ravvicinata per qualcuno è stata una piacevole sorpresa, per altri al contrario ha esasperato tensioni e acceso conflitti. Ai giovani sono mancati soprattutto i coetanei e la possibilità di stare con amici e compagni di scuola o di sport in quella relazione spontanea, complice o leggera, che fa parte della loro quotidianità. E così hanno capito quanto le relazioni siano importanti; prima lo sperimentavano, nel lockdown ne hanno preso consapevolezza.
Giovani e senso della vita: quali interrogativi si pongono? Quali i punti fermi?
Anche la domanda sul senso della vita si è affacciata in maniera nuova. Di fronte alla sua fragilità, la vita è apparsa nella sua preziosità, nella sua bellezza delicata. Davanti alla prospettiva della morte come fatto che può essere imminente, l’interrogativo relativo al che cosa fare della propria vita si impone in modo prepotente e induce molti giovani a “cambiare le proprie priorità”, come afferma più di uno degli intervistati.
Troppe volte diciamo che la nostra società sta invecchiando e, al contempo, gli spazi per i giovani – nell’economia, nella politica, persino nella Chiesa – sono ristretti. Se ci ponessimo in ascolto, cosa ci insegnerebbero oggi i giovani?
Rispondo citando un passaggio di un’intervista a una giovane: “La morte insegna che non c’è altro tempo. Se tu domani morirai non avrai altro tempo. Cadrà tutto quello che ti sei costruito e rimarranno solo le cose importanti veramente, il tempo passato in famiglia, quello passato ad aiutare le persone alla Caritas…”.
Sembrano espressioni di una saggezza antica, e invece è il pensiero di una giovane di oggi. Forse vi sono elementi permanenti e universali nella coscienza profonda delle persone. L’ascolto dei giovani potrebbe aiutarci a recuperarli. L’ascolto dei giovani è una necessità, ma non basta: ai giovani occorre dare spazio.
Ne hanno bisogno i giovani e ne abbiamo bisogno tutti. È necessario recuperare uno sguardo nuovo sulla vita e accogliere quegli elementi innovativi che i giovani portano proprio in quanto rappresentano un tempo nuovo. Ma gli adulti chiedono la novità solo a parole; davanti alle prospettive innovative finiscono con l’appellarsi al “si è sempre fatto così”, anche nella Chiesa.
Covid e fede: esiste una relazione?
Più che una relazione tra Covid e fede, esiste una relazione tra la fede e le domande che il Covid ha contribuito a suscitare. La fede, più che mai, appare sfidata dalle domande dell’esistenza.
C’è qualcosa che la comunità cristiana può fare, o cambiare, per continuare a proporre il messaggio evangelico alle nuove generazioni?
Il rapporto tra i giovani e la comunità cristiana sembra essersi quasi definitivamente interrotto. Non sarà facile riprenderlo, perché la comunità cristiana dovrebbe cambiare molte cose nel suo modo di fare e di pensare, per poter incontrare nuovamente i giovani. La prima cosa che potrebbe fare sarebbe mettersi in ascolto dei giovani: in un ascolto convinto, gratuito, a partire dalla consapevolezza che non sta comprendendo le nuove generazioni. E che se qualcosa può cambiare, questo dipende dalla disponibilità della Chiesa a fare un passo verso di loro.
Ascoltandoli, potrà capire che i giovani la sollecitano e le offrono l’opportunità di essere una Chiesa migliore, più evangelica, più essenziale, capace di un amore pasquale alla vita.
E sarebbe un guadagno per tutti.
Agensir 19.05.2021