Cari fratelli e sorelle, buongiorno.
Oggi vogliamo chiederci: in che senso la Chiesa forma un corpo? E perché viene definita «corpo di Cristo»?
Nel Libro di Ezechiele viene descritta una visione un po’ particolare, impressionante, ma capace di infondere fiducia e speranza nei nostri cuori. Dio mostra al profeta una distesa di ossa, distaccate l’una dall’altra e inaridite. Uno scenario desolante… Immaginatevi tutta una pianura piena di ossa. Dio gli chiede, allora, di invocare su di loro lo Spirito. A quel punto, le ossa si muovono, cominciano ad avvicinarsi e ad unirsi, su di loro crescono prima i nervi e poi la carne e si forma così un corpo, completo e pieno di vita (cfr Ez 37,1-14).
Questa è la Chiesa, è un capolavoro dello Spirito, il quale infonde in ciascuno la vita nuova del Risorto e ci pone l’uno accanto all’altro, l’uno a servizio e a sostegno dell’altro, facendo così di tutti noi un corpo solo, edificato nella comunione e nell’amore.
La Chiesa, però, non è solamente un corpo edificato nello Spirito: la Chiesa è il corpo di Cristo! E non si tratta semplicemente di un modo di dire: ma lo siamo davvero! È il grande dono che riceviamo il giorno del nostro Battesimo!
Nel sacramento del Battesimo, infatti, Cristo ci fa suoi, accogliendoci nel cuore del mistero della croce, il mistero supremo del suo amore per noi, per farci poi risorgere con lui, come nuove creature. Ecco: così nasce la Chiesa, e così la Chiesa si riconosce corpo di Cristo!
Il Battesimo costituisce una vera rinascita, che ci rigenera in Cristo, ci rende parte di lui, e ci unisce intimamente tra di noi, come membra dello stesso corpo, di cui lui è il capo (cfr Rm 12,5; 1 Cor 12,12-13).
Al tempo di Paolo, la comunità di Corinto trovava molte difficoltà, vivendo, l’esperienza delle divisioni, delle invidie, delle incomprensioni e dell’emarginazione. Tutte queste cose non vanno bene, perché, invece che edificare e far crescere la Chiesa come corpo di Cristo, la frantumano in tante parti, la smembrano. E questo succede anche ai nostri giorni. Pensiamo nelle comunità cristiane, in alcune parrocchie, pensiamo nei nostri quartieri quante divisioni, quante invidie, come si sparla, quanta incomprensione ed emarginazione.
E questo cosa comporta? Ci smembra fra di noi. E’ l’inizio della guerra. La guerra non incomincia nel campo di battaglia: la guerra, le guerre incominciano nel cuore, con incomprensioni, divisioni, invidie, con questa lotta con gli altri.
L’Apostolo Paolo ha dato ai Corinti alcuni consigli concreti che valgono anche per noi: non essere gelosi. Un cuore geloso è un cuore acido, un cuore che invece del sangue sembra avere l’aceto; è un cuore che non è mai felice, è un cuore che smembra la comunità.
Ma cosa devo fare allora?
Apprezzare nelle nostre comunità i doni e le qualità degli altri, dei nostri fratelli. E quando mi viene la gelosia – perché viene a tutti, tutti siamo peccatori -, devo dire al Signore: “Grazie, Signore, perché hai dato questo a quella persona”. Apprezzare le qualità, farsi vicini e partecipare alla sofferenza degli ultimi e dei più bisognosi; esprimere la propria gratitudine a tutti.
Il cuore che sa dire grazie è un cuore buono, è un cuore nobile, è un cuore che è contento.
Vi domando: tutti noi sappiamo dire grazie, sempre?
Non sempre perché l’invidia, la gelosia ci frena un po’. E, in ultimo, il consiglio che l’apostolo Paolo dà ai Corinzi e anche noi dobbiamo darci l’un l’altro: non reputare nessuno superiore agli altri.
Quanta gente si sente superiore agli altri! Anche noi, tante volte diciamo come quel fariseo della parabola: “Ti ringrazio Signore perché non sono come quello, sono superiore”. Ma questo è brutto, non bisogna mai farlo! E quando stai per farlo, ricordati dei tuoi peccati, di quelli che nessuno conosce, vergognati davanti a Dio e dì: “Ma tu Signore, tu sai chi è superiore, io chiudo la bocca”. E questo fa bene. E sempre nella carità considerarsi membra gli uni degli altri, che vivono e si donano a beneficio di tutti (cfr 1Cor 12–14).
Papa Francesco dall’Udienza del 22.10.2014
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