La fabbrica dei Santi

La fabbrica dei Santi

Pubblicato da Stefano, Con 0 Commenti, Categoria: Articoli,

I SANTI DEL FUTURO

«Le cause però non dipendono dalla Congregazione − che giudica, verifica, controlla e promuove − ma dalla base: sono i vescovi, le associazioni religiose, gli ordini di consacrati, che devono richiederle», prosegue Amato.

La base, sì, è sempre lei che si muove, mossa a sua volta dalla “fama di santità”, che è il primo requisito per aprire un’inchiesta diocesana. E la base della Chiesa è sempre più globale. Le maggiori persecuzioni dei cristiani si concentrano tra Africa e Asia. Avremo un calendario liturgico sempre più multietnico?

«Certo, anche se già oggi lo è. I primi santi erano per la maggior parte africani. La santità sorge in tutto il mondo. Papa Francesco vuole sottolineare le radici della santità nei vari continenti, per questo ha promosso la canonizzazione di Junipero Serra, l’apostolo della California, fondatore di città come Los Angeles, San Diego, San Francisco. Oppure di José de Anchieta, missionario spagnolo che ha evangelizzato il Brasile e ha fondato la città di San Paolo. E ancora François de Laval, un vescovo che andava evangelizzando dalla Louisiana fino all’Alaska. O Maria dell’Incarnazione, orsolina francese, prima missionaria in assoluto della Chiesa cattolica, evangelizzatrice delle ragazze canadesi, sia native che emigrate. Papa Francesco vuole che i continenti affondino la loro realtà nelle radici della santità».

Ma in cosa consiste la santità? Certo non significa essere “perfetti”. Lo sa bene una figura particolare che ha un ruolo chiave in questo tribunale sui generis: il cosiddetto “avvocato del diavolo”.

«Certo, noi non lo chiamiamo così… il suo nome è “promotore della fede”, e ha il compito di porre delle obiezioni alle cause. Mette in rilievo i lati oscuri, che sono molto significativi perché da un lato confermano che siamo davanti a persone come noi e non ad angeli incarnati, e dall’altro sottolineano che la virtù è una conquista della volontà e della grazia. Quando sento dire: “La Madre superiora ha sempre…” io dico: “Quel sempre lasciamolo stare”. È bene che le cose siano normali. E anche chi è stato eroico nella pazienza, se qualche volta l’ha persa… ne siamo contenti».

E quindi possiamo dirlo, chiaro e tondo: la cosa più importante, per diventare santi, non è sforzarsi di evitare il male, ma dedicarsi totalmente a fare il bene.

«Ovviamente fare il bene è più importante! I santi sono dinamicamente protesi a fare il bene, hanno la fissazione di fare il bene, e proprio per fare il bene qualche volta sono stati anche imprudenti… però la loro finalità è fare il bene. Sono assediati, abitati da questa energia di fare il bene, perché la santità è proprio promuovere il bene. E anche, naturalmente, evitare il male».

SEMI DI FEDE

I santi, uomini e donne per ogni stagione della vita. Le loro storie sono avvincenti. Il cardinale Amato parla del sudafricano Benedict Daswa, del giovane messicano José Sanchez Del Rio, dell’altoatesino Josef Mayr-Nusser. Tutti martiri per aver rifiutato i diktat di ogni tempo in nome di un Vangelo sigillo di libertà. Tutti beati o santi per decreto di papa Francesco.

C’è una storia che gli sta particolarmente a cuore. È quella di un samurai giapponese, Justo Takayama Ukon, espropriato di tutto, bandito e morto di stenti nel 1615. Perché cristiano. «La sua beatificazione ha avuto un impatto straordinario non solo tra i fedeli giapponesi, che sono pochissimi, ma anche sulla stampa nazionale e pure sulle istituzioni civili. Perché è una grande figura: un uomo leale con la sua patria, e leale con la sua fede. Un vero giapponese. Mi ha colpito questa lealtà verso se stesso e verso Dio. Una cosa straordinaria».