Pietro Cavallero è stato forse il bandito più feroce del secolo scorso. Cinque omicidi, 27 persone ferite, decine di assalti. Lo avevo incontrato per la prima volta nel supercarcere di Porto Azzurro dove scontava l’ergastolo e accettai di accoglierlo in semilibertà all’Arsenale della Pace.
La sua era una storia di violenza che sembrava dovesse concludersi male, ma riservò una sorpresa e non solo per lui.
Pietro, vivendo insieme agli ultimi, decise di cambiare vita. Me lo confidò in una notte che non dimenticherò mai. «Ernesto, qui ho capito che Dio esiste. Mi voglio convertire. Ma io ho ucciso, c’è gente che ancora piange per colpa mia. Io devo chiedere perdono».
Pietro usò tutti gli anni che gli restavano per questo. Chiese di incontrare i famigliari delle vittime: con alcuni ci riuscì, con altri no, ma accettò la scelta di tutti.
Negli ultimi giorni di ospedale, tra dolori atroci per la malattia, mi scrisse:
«Soffro molto, ma sono contento di soffrire perché espio. Ho capito, senza bisogno di tante parole, i miei sbagli».
Da Pietro ho imparato che a volte basta un attimo, un attimo improvviso per cambiare tutto, per chiudere con il passato, con gli sbagli, con il nonsenso. Pietro mi ha insegnato che solo chi decide nel proprio cuore l’inizio di una nuova vita, entra nella Vita.
Ernesto Olivero in Avvenire del 5.06.2015
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