A volte la vita ti casca addosso e ti obbliga a cambiare forma. Entra nella tua struttura consueta e la rivoluziona. Ti allarghi, ti stringi, ti pieghi. Ti spalmi e ti ritrai. Cambi continuamente, nello sforzo di reggere l’impatto che continua a sconvolgerti. Che ti potrebbe rompere e frantumare. Ma tu continui ad adattarti a quella forza d’urto.
Non lo sapevi che potevi assumere nuove forme, modificare i contorni e i confini della tua sagoma. O meglio, non lo sapevi perché non ci avevi mai provato. Non era mai successo nulla, prima, che ti obbligasse a inventare nuove forme di te.
Quando l’onda d’urto poi passa, non recuperi subito la forma originale. Non torni a com’eri prima, in un click. Perché l’esperienza che ti ha deformato, che è entrata nella tua struttura consueta, modificandola e piegandola e trasformandola, necessita di tempo e pazienza per tornare alla versione di partenza.
Ci si torna prima o poi, ma con calma. Rielaborando ciò che ci è capitato. Producendo pensiero, risistemando le cose che ci sembravano sparpagliate in modo caotico sul tavolo della vita, mentre la tempesta colpiva forte. Si riprendono i singoli pezzi usciti dai loro cassetti, li si osserva e poi li si rimette nel posto da cui erano travasati, nella violenza dell’impatto che li ha scaraventati fuori e li ha sottratti all’ordine in cui erano sempre stati tenuti.
Quel tempo di risistemazione delle cose, di riacquisizione della forma originale è il tempo dell’elaborazione. Quel processo, lento e continuo, con cui qualcosa che è stato deformato da un evento che l’ha trasformato, ma non l’ha rotto, viene riportato al punto di partenza non è un puro automatismo, non è un reset che annulla ciò che è stato. Bensì è una sorta di trasformazione al contrario. Un ritorno alla casella del via, avendo però fatto un percorso che lascia dentro di noi traccia di tutto.
Così scopriamo che ciò che ci poteva rompere, in realtà ci ha resi più forti. Ci rendiamo conto che tutta quella fatica, quello sforzo e quel dolore non sono stati invano. Hanno costruito dentro di noi altre strutture. Hanno aumentato la resistenza del sistema, dopo averne messo a dura prova l’integrità. Abbiamo acquisito una nuova flessibilità, le competenze di sempre si sono fatte più compatte.
Quel rodaggio dall’esito incerto, si è trasformato in un allenamento alla vita. Vita che, ora che possiamo guardare ciò che ci siamo lasciati alle spalle, sembra avere più senso, più profondità. Ci siamo guadagnati un nuovo paio di occhiali che ci permette di guardare meglio non solo ciò che eravamo ma anche ciò che siamo diventati.
Tutto questo si chiama resilienza.
Alberto Pellai medico e psicoterapeuta dell’età evolutiva, è ricercatore presso il dipartimento di Scienze Bio -Mediche dell’Università degli Studi di Milano, dove si occupa di prevenzione in età evolutiva.