Il diario degli ultimi giorni di Rita Fossaceca, il medico italiano ucciso in Kenya nell’orfanotrofio in cui prestava la sua opera, fa pensare. Cinquantuno anni, radiologa all’Ospedale Maggiore di Novara.
Occorre acquistare una mucca, ma costa troppo; le galline invece sono ormai quindici e fanno tante uova, annota Rita, soddisfatta. I bambini dell’orfanotrofio crescono e «sono uno spettacolo». Domenica, si va tutti al mare.
Poi l’altra sera, improvviso, il male fa irruzione nella missione: sei uomini armati piombano nei locali, Rita cerca di difendere l’anziana madre che è con lei, parte un colpo, la dottoressa si accascia. E pare di sentire un gran silenzio, dopo quello sparo. E la nuova macchina per le ecografie, e i libri per la scuola, e la mucca? Tutte queste piccole cure quotidiane, quasi materne, annullate in un istante.
Basta un attimo, per uccidere. Ci vuole tutta una vita invece per diventare come Rita Fossaceca: andare a scuola, crescere, studiare, laurearsi, decidere di curare gli altri, e quei figli d’altri, ignoti.
Cinquantanni di fatica e di bene, e poi qualcuno spara: e sembra la fine di tutto. Sì, viene da immaginarlo, il silenzio a Mijomboni. La dottoressa italiana tanto attesa, quel medico che voleva bene come una madre, uccisa. E qualcuno fra quei bambini avrà pensato, forse: ma Dio, perché lascia che accadano queste cose? Domanda antica, senza risposta se non nel fidarci di un disegno, che a volte non capiamo.
Ma c’è dell’altro, di fronte a una morte come questa: c’è lo scandalo per la terribile velocità distruttiva del male, a fronte della mite lentezza del bene. Quanta fatica per trovare risorse per un’opera come quella di Mijomboni, per metterla in piedi, per farla funzionare. Quanta pazienza per educare dei bambini abbandonati, per spiegare loro che è bello, studiare. E curarli poi, e vaccinarli, e farli crescere sani. O anche solo dare loro, semplicemente, da mangiare. La fondamentale importanza, quindi, di quindici galline, e di una mucca, che dia latte. Cose minime, possono sembrare, faccende domestiche di nessuna rilevanza.
Non è così invece: è che il bene, e la vita che è la più ampia forma di bene, procedono lentamente, con passi quasi inavvertibili. Crescono adagio gli alberi, da semi quasi invisibili, matura piano la frutta sotto al sole; i bambini, poi, ci mettono nove mesi a nascere, e vent’anni almeno, per diventare uomini. La vita procede inosservata, modesta: il suo crescere non è quasi mai istantaneo, ma è una maturazione che obbedisce a tempi rigorosamente scanditi. Il male invece, è rapidissimo.
Basta un colpo di pistola, ed ecco, cinquantanni di vita e studi e amore di una donna, annientati. Si rimane attoniti, si rimane zitti. Eppure ogni volta, sulle ceneri di una tragedia privata o collettiva, la vita rinasce. Sgombera le macerie, ricostruisce, lenta ma tenace.
Intanto, negli ultimi messaggi lei si rallegrava: avevano comprato la mucca, già incinta di un vitello. I bambini avrebbero avuto il latte fresco. E sembra una cosa da nulla. Ma è così, piano, che il bene, senza rumore, cresce.
(Marina Corradi in Avvenire)
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