… dopo circa due anni di lavoro in banca ho iniziato ad avere più di qualche scrupolo di coscienza, che mi faceva chiedere sempre più spesso, se ciò che facevo, fosse giusto oppure no. È pur vero che, nella routine lavorativa, nell’andamento che ha sempre caratterizzato un certo modo di fare, tutto sembra normale, ma, nel momento in cui la banca aveva orientato il suo interesse, dal cliente al prodotto, in un’ottica di massimizzazione del profitto, i problemi sono aumentati. E con essi sono aumentati anche i miei scrupoli di coscienza nel seguire un andazzo che poco si adattava al mio modo di vedere, soprattutto nei rapporti con i clienti, con i quali cercavo di tessere rapporti umani veri . È stato un periodo molto difficile nel quale non sapevo cosa fare e ho iniziato a pensare che quello del bancario non fosse il lavoro adatto a me.
Dopo poco tempo, confidando ad una persona questi scrupoli e chiedendo un parere, con sorpresa mi vedo proporre tre soluzioni: 1) adeguarmi senza pormi domande; 2) andarmene cambiando lavoro; 3) restare cercando, nel mio piccolo, di cambiare le cose. Aggiungo anche che le prime due soluzioni non avrebbero risolto il mio problema: adeguarmi avrebbe messo a tacere la mia coscienza fino al punto in cui sarebbe esplosa. Nell’andarmene avrei ritrovato lo stesso problema anche altrove. Ho deciso così di rimanere dov’ero , iniziando a guardare il mio lavoro di sempre, sotto una nuova luce e viverlo secondo una nuova prospettiva. Soprattutto, con l’ obiettivo che non fosse solo l’ arrivo del 27 del mese!
Mi sono subito reso conto che, lavorare secondo principi di correttezza, di giustizia e di onestà costava, talvolta anche economicamente, per mancate promozioni e minori premi, costava ancor più in emarginazione. E questo è l’aspetto che fa veramente male, più ancora di quello economico! Non far parte del giro, significa perdere opportunità, non venire a conoscenza di notizie utili, non essere considerati… e allora che fare? Mi sono ricordato che una volta Chiara Lubich parlando con un giovane aveva detto che sul posto di lavoro dobbiamo cercare di far fruttare al massimo le nostre capacità. Non tanto per far vedere agli altri quanto sei bravo, ma per mettere a frutto i talenti che Dio dona nell’ aiutare chi gli sta intorno, partendo dai colleghi e via via sempre più in là. Sono tornato a casa con le idee chiare!!
È iniziata così la seconda fase della mia vita lavorativa, quella cioè, in cui ho cercato di conoscere a fondo ciò che la banca voleva da me, sia che si trattasse di prodotti di investimento che di analisi di bilancio per valutare affidamenti. Mi sono reso conto che essere professionalmente preparato mi apriva delle possibilità inaspettate e un po’ alla volta, soprattutto per i colleghi più emarginati, iniziavo ad essere il riferimento ed il portavoce. La battuta ironica, il cercare di sdrammatizzare i momenti difficili, l’atteggiamento di non allineato alla corrente di turno, mi aiutava ad essere me stesso davanti a tutti, senza distinzione di ruoli o gradi. È iniziato così un ulteriore periodo di crescita professionale che mi ha portato a lavorare per momenti più o meno lunghi a Padova, a Roma e a Milano. Oggi, dopo trent’anni, sono contento del mio lavoro e continuerò a svolgerlo con coscienza e professionalità. – Giorgio
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