È proprio la strada della purificazione la via diversa su cui noi dobbiamo intraprendere il nostro cammino.
Nel Vangelo di Marco (1, 14-15) si legge: «Il tempo è compiuto, il regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al Vangelo». Convertirsi vuol dire cambiare vita, altrimenti tutto il resto non conta nulla. I profeti lo hanno annunciato con parole precise ed esigenti: «Dei vostri sacchi di cenere, del vostro digiuno, io non so che farmene – dice il Signore. Io voglio che prima viviate la giustizia, che osserviate le mie leggi, che aiutiate gli oppressi, che difendiate gli orfani e le vedove».
Ecco quanto è importante il tempo quaresimale nel mistero dell’anno liturgico, perché ci riporta al cuore e alla mente la base dell’itinerario cristiano. Se non si coglie questa verità, potremmo fare anche un’accozzaglia di pratiche di pietà, ma non saremmo accetti al Signore: eserciteremmo un culto sterile ed inefficace.
Il culto cristiano, come ci richiama continuamente Papa Francesco, è il culto di un cuore umile, sincero e schietto. In una parola, il culto di chi non vive più per sé, ma per amore. In Italia ci sono migliaia di Sante Messe nel giorno del Signore, ma purtroppo le cose, nella mentalità dei credenti, cambiano poco.
Cosa dobbiamo fare?
C’è chi si accontenta e dice: «Ringraziamo il Signore che un certo numero di persone continua a venire in chiesa». Risposta buona; ma sarebbe il caso di domandarci: «Perché vengono? Come vengono? Cosa cambia di fatto nella vita?».
La Quaresima, coi suoi ritmi e le sue cadenze, potrebbe diventare un vero itinerario battesimale, un cammino paziente che ci orienta in un cambiamento di mentalità e di vita.
Anche il ritorno al Sacramento della Penitenza, nelle forme più adatte e consentite, più che un impegno devozionale, dovrebbe essere un riferimento battesimale.
Infatti, si tratta di restaurare la vita del battesimo che abbiamo interrotto o che va debitamente recuperata. Ma il compimento della purificazione quaresimale ha un obiettivo specifico: la carità, intesa come Agape.
Cos’è, allora, cambiare vita?
Passare dall’amore di sé all’amore di Dio e degli altri. Passare dall’egoismo alla carità. Tutti i testi biblici che parlano della penitenza culminano sempre in questo richiamo: l’aiuto ai fratelli, il soccorso al prossimo.
Dunque, la vera penitenza cristiana è amare. Perché amare è perdere sé. La vera penitenza cristiana non è “fare”, neppure compiere le “opere”, se non c’è l’amore. La vera penitenza è trasporre noi, da noi agli altri. La vera penitenza cristiana è questo mutamento di luogo. Il nostro luogo non è più il nostro io, ma l’io dell’altro nell’io di Dio.
Per comprendere bene quanto sto affermando, vi invito a rileggere, dal capitolo XIII della lettera ai Corinti di san Paolo, l’inno alla carità. E questo vale per tutti.
Se in una comunità religiosa, in un seminario, in una famiglia, nella parrocchia, non c’è la carità, quello che si fa non serve a nulla.
Questo vale nel matrimonio, fra marito e moglie, nel rapporto con i figli: il ricominciare, il tentare sempre di avere fiducia, la pazienza di un amore che traspone il proprio io nell’altro.
Questo vale in ogni ambito della vita cristiana. Quando diciamo: «Dobbiamo difendere il matrimonio, la famiglia!», che significato ha, se manca tutto questo?.
Lettera del Card. Bassetti sulla quaresima – seconda parte