Sto seduta alla mia scrivania, in ufficio, in attesa di un pubblico difficile, maltrattato dalla vita che si aspetta un miracolo da te che sei aldilà della barricata. E tu quasi sempre sei impotente, imbrigliata nelle procedure burocratiche, impossibilitata a fornire tutte le risposte e gli aiuti!
Si avvicina una ragazza di colore, giovane, esile. Si siede, apre una cartellina e mi porge dei documenti per poter ottenere l’iscrizione. Capisco subito che è una “profuga”, arrivata dal mare da pochi mesi, da un Paese africano. La guardo. È seria, composta, dignitosa, giovanissima. Poche parole in italiano, impaurita ma piena di speranze… Si chiama Prezioso. Dalle carte vedo che non posso iscriverla. Le dico: “Non posso iscriverti” e lei con un filo di voce mi risponde: “Ma io devo iscrivermi sennò non posso stare qua… Ti prego signora!”. “Non posso Precious, non posso davvero, mi spiace. Non dipende da me”. “Oh no, signora, ti prego, non mandarmi via! Mi hanno detto che devo …” . “Quanti anni hai?”. “Ventidue. Sono con mio fratello. Siamo scappati da guerre… mia famiglia è in Africa, lontano… non so come fare… ti prego…”.
Rinuncia, abbassa lo sguardo in silenzio, non parla più. Le vedo due grosse lacrime scivolare lungo le guance. La guardo sconcertata, e in quel momento riesco davvero a comprendere tutta la disperazione ed il dolore di queste persone. Tragicamente lontane da casa, in un paese e una lingua sconosciuti, senza affetti, con Leggi difficili ed ostiche, diffidenza ed anche disprezzo da chi dovrebbe accogliere.
“Non piangere Precious, vedrai che sistemiamo le cose, stai tranquilla, ti aiuto!”. Piange piano, sommessamente, con dignità, quasi per non disturbare… Alzo il telefono, alcuni scambi di informazioni, fax di chiarimenti, parole e parole, poi finalmente, dopo un po’, guardo la ragazza davanti a me che aspetta sfinita e provata: “Dai, tutto a posto. Possiamo fare!”
Lei alza gli occhi lucidi e tristi, quegli occhi che già tante tragedie hanno visto, asciuga con la mano la guancia bagnata, mi guarda piena di sofferenza: “Grazie. Tu sei buona…”. Basta così poco … (Patrizia)
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