Il capo di una troupe di trapezisti, un giorno, parlava del suo esercizio, che ogni sera incantava centinaia di spettatori in un grande circo e spiegava: “Devo avere completa fiducia nel mio compagno, che mi deve afferrare al termine del mio volteggio. Il pubblico potrebbe pensare che io sia la grande stella del trapezio, ma la vera stella è il mio compagno, Joe. Lui dev’essere pronto ad afferrarmi con precisione, spaccando il secondo, e deve acchiapparmi attraverso il vuoto quando io arrivo con la mia lunga rincorsa».
“Come funziona?», chiesi.
“Il segreto», mi disse, “è che il trapezista che volteggia non fa nulla, mentre chi fa tutto è il compagno che lo afferra. Quando volo verso Joe devo semplicemente tendere le braccia e le mani e aspettare che lui mi afferri e mi tragga al sicuro sulla piattaforma dietro la sbarra!”
“Lei non fa nulla!”, dissi sorpreso.
“Nulla”, ripeté.
“La cosa peggiore che il trapezista possa fare nel suo volteggio è cercare di afferrare il compagno. Non è previsto che io afferri Joe, ma è compito di Joe afferrare me. Se afferrassi i polsi di Joe potrei spezzarglieli, o lui potrebbe spezzare i miei, e questo vorrebbe dire la fine per tutti e due. Uno deve volare e l’altro deve afferrare, e il primo deve avere fiducia, stendendo le braccia verso il compagno che è là pronto ad afferrarlo”.
Sono le ultime parole di Gesù: «Padre, nelle tue mani consegno il mio Spirito» (Lc 23,46).
Morire significa avere fiducia in chi è pronto ad accoglierci, e aver cura del morente significa dirgli: «Non avere paura ricordati che sei il figlio diletto di Dio ed egli sarà là quando tu farai il grande balzo. Non cercare di afferrarlo, lui afferrerà te. Stendi soltanto le braccia e le mani, e abbi fiducia, fiducia, fiducia».
«Questo è il tempo della fiducia», dice Gesù.
«Perché la morte non è quello che pensate».
I cristiani non sono i professionisti dell’addio, ma dell’arrivederci.
Per noi la morte non è un punto, ma una virgola.