ROSARIO LIVATINO – Entrato in magistratura a soli 26 anni, gli vengono affidate delicate indagini sulla mafia. Ogni sua decisione la mette “nelle mani di Dio”. A soli 38 anni viene freddato dalla criminalità.
, Con 0 Commenti, Categoria: Articoli,Non ci sarà chiesto se siamo stati credenti, ma credibili …
È forse già tutto in questa splendida frase il senso della testimonianza di Rosario Livatino, vissuto alcuni decenni più tardi ma anch’egli in qualche modo vittima di una guerra: quella della mafia contro lo Stato e i suoi servitori più fedeli.
Nato nel 1952 a Canicattì, Livatino, giudice a latere ad Agrigento, viene freddato da quattro sicari assoldati dalla mafia il 21 settembre 1990, mentre con la sua auto, senza scorta, sta raggiungendo il tribunale del capoluogo siciliano.
È qui che lavora dal 1978, quando a soli 26 anni vince brillantemente il concorso per entrare in magistratura; vista la sua serietà e preparazione, gli vengono affidate delicatissime indagini sulla mafia, in particolare quella che verrà definita la “Tangentopoli siciliana’: Livatino affronta i pericoli di un ruolo così delicato affidandosi a Dio: STD è la sigla che annota qua e là nella sua agenda per mettere le sue decisioni e le persone da giudicare «sub tutela Dei» (nelle mani di Dio). Ogni mattina si raccoglie in preghiera per chiedere di essere capace, parole sue, di «dare alla legge un’anima». Nel 1993 è iniziato il lungo iter per il processo di beatificazione, durante il quale è stata raccolta anche la testimonianza di uno dei killer, Gaetano Puzzangaro, che in carcere ha avuto una conversione religiosa.
In un’intervista a Panorama del 2017 Puzzangaro ha spiegato:
«All’epoca non mi ero reso conto che Livatino lavorasse per i giovani, per una società migliore. Lavorava anche per me, che mi ero perso in quel mostro che fagocitava tutto».
Da rivista credere 19.08.2018
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